La lunga battaglia di Martina Oppelli, dal video al Parlamento ai tre “no” ricevuti
Chi era la 50enne triestina che ha deciso di andare in Svizzera per accedere alla morte volontaria: più di due anni di lotte legali per “essere libera” e i rifiuti di Asugi

Tre no all’accesso al suicidio medicalmente assistito e una serie di battaglie legali per ottenere quello che ad altre persone nella sua condizione è stato concesso. Ma il caso di Martina Oppelli diventa noto a livello nazionale quando, dopo il primo diniego, lei diffonde un video appello al Parlamento chiedendo una legge sul fine vita che le consenta di morire, in Italia, il Paese dove è nata e dove paga le tasse.
È allora che conosciamo il volto curato e l’espressione determinata di Martina, il suo eloquio intenso, impreziosito da immagini indimenticabili e riferimenti colti. E il suo rivendicare, sempre, che chiedere di morire è «un gesto d’amore per la vita che ho avuto», che avrebbe preferito non dover mai compiere «io, quella della resistenza a oltranza con un po’ di esuberanza».
L’appello e il primo no
Nel primo appello pubblico Martina chiede di «morire col sorriso sul viso, nel Paese dove ho scelto di vivere, e dove ho pagato le tasse». Lo stesso sorriso che nel suo ultimo videomessaggio dice che «si stia spegnendo». Era maggio del 2023. Già allora diceva «sono esausta, esaurita», e già allora aveva iniziato le procedure per recarsi in Svizzera, poi interrotte.
Nell’agosto del 2023 invia la prima richiesta di essere valutata per stabilire se rispondesse ai criteri per l’accesso al suicidio assistito in Italia. Viene visitata dalla commissione medica nell’ottobre 2023, e conosce il responso, negativo, solo dopo ripetute richieste. Il motivo del primo rifiuto a ogni passaggio si ripete, identico: secondo l’Azienda sanitaria non è dipendente da un trattamento di sostegno vitale. La sua vita non è appesa a una macchina, sottolinea la prima relazione di Asugi.
Eppure proprio Asugi aveva detto sì ad “Anna”, una donna nelle stesse condizioni di Martina. Ma Martina già nel primo videomessaggio lo evidenzia: sono persone a mantenerla in vita. Lei può muovere solo testa e la bocca. Senza assistenza «come mangio? Come bevo? Come mi lavo? Come vado in bagno? Come sopravvivo, come assumo i farmaci?», domanda. E al Parlamento chiede di valutare «ogni dolore» nello scrivere una legge.
La differenza tra l’essere vivi grazie a una macchina o grazie alla cura di terzi, alla fine, qual è? Quando la Corte costituzionale è chiamata ad esprimere una sentenza sul tema, ascolta anche il caso di Martina e quello di Laura Santi, e afferma che non c’è: anche interventi sanitari fatti da caregiver costituiscono trattamenti di sostegno vitale. È la sentenza 135 del 2024, quella che fa ritenere alla Coscioni che non ci sia dubbio che Martina ha tutti i requisiti.
La battaglia legale
È febbraio 2024 quando Martina decide di diffidare Asugi e chiedere una rivalutazione grazie all’assistenza della sua avvocata Filomena Gallo, segretaria dell’Associazione Luca Coscioni, che ha presieduto il suo collegio difensivo e l’ha accompagnata nelle sue battaglie legali. Asugi dice no, con la crudeltà del burocratese: «Tale richiesta contrasta con il principio di “economicità” nella pubblica amministrazione».
E allora ricorre in Tribunale. Inizia così la prima di una serie di battaglie legali. Il giudice le dà ragione e ingiunge ad Asugi di rivalutarla, è il luglio del 2024. Arriva un altro no dall’azienda sanitaria il 13 agosto. Martina presenta un esposto contro Asugi per tortura il 29 agosto e impugna la decisione di Asugi. Arriva però un no da parte del Tribunale a marzo 2025: la giudice sceglie di non ordinare all’Azienda sanitaria di procedere con il via libera al suicidio medicalmente assistito.
Scatta la richiesta di una nuova valutazione, la terza, che avviene ad aprile. Lo scorso 4 giugno arriva l’ennesimo no, a cui ancora una volta presenta opposizione accompagnata da una diffida e una messa in mora. Inizia la procedura per una quarta valutazione. Martina a inizio luglio dice di rivalutare la strada della Svizzera. Troppe le sofferenze, non ce la fa più.
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