L’attivista venezuelano: «Trentini è un prigioniero politico, non possiamo abbandonarlo»
Lorent Saleh testimonia la brutalità della prigionia a El Rodeo: «Alberto ha dedicato la vita ad aiutare gli altri, quello che sta capitando è assolutamente ingiusto e merita tutto il sostegno possibile»

«Quello che sta capitando ad Alberto Trentini è assolutamente ingiusto, merita tutto il sostegno possibile fino alla sua liberazione».
L’attivista venezuelano Lorent Saleh scende in campo al fianco del cooperante umanitario veneziano detenuto in carcere nel paese sudamericano dallo scorso novembre, da duecento giorni esatti, oggi.
Vincitore del Premio Sakharov del Parlamento Europeo, noto per il suo impegno per i diritti umani in America Latina e per la sua esperienza di detenzione e tortura in Venezuela, Saleh inaugurerà il 15 giugno nella sede del Lido del Global Campus of Human Rights la nuova edizione della Venice School for Human Rights Defenders, un’iniziativa che riunisce ogni anno attivisti e difensori dei diritti umani provenienti da tutto il mondo per una settimana di formazione, networking e riflessione sui temi della giustizia globale, della protezione dei diritti fondamentali e delle sfide contemporanee alla democrazia.

Alberto Trentini, l’operatore umanitario arrestato a novembre senza accuse formali, è attualmente detenuto nel carcere di El Rodeo. Cosa ne pensa di questa storia?
«La situazione di Alberto Trentini mi ha colpito molto, perché è una persona socialmente sensibile e dedita al servizio umanitario. È assolutamente ingiusto quello che gli stanno facendo e merita tutto il sostegno possibile fino alla sua liberazione. Trentini è un ostaggio del terrorismo di Stato in Venezuela; la sua detenzione a El Rodeo è un’azione assolutamente spietata. Questo centro di detenzione è stato potenziato per infliggere sofferenze agli ostaggi detenuti. È indispensabile che la società civile italiana, venezuelana ed europea in generale si uniscano per chiedere il suo rilascio immediato. Ha dedicato la sua vita ad aiutare gli altri: gli dobbiamo molto» .
I governi europei, come gli Stati Uniti, non riconoscono il governo Maduro. Come si può risolvere la vicenda Trentini? Che ruolo può avere l’opinione pubblica in tutto questo?
«L’opinione pubblica deve rendere visibile il proprio caso e non lasciarlo cadere nel dimenticatoio. Dobbiamo mobilitare le persone per attivare forti proteste che costringano i governi ad agire immediatamente. In Italia ci sono interessi economici legati alla dittatura e alle sue reti; il governo italiano ha i mezzi per fare pressione, ma noi dobbiamo agire come una società indignata che chiede la sua liberazione. Sono un esempio tangibile del potere dell’azione della società civile e della diplomazia europea; se ci muoviamo, otterremo il suo rilascio. Ci sono dei meccanismi per raggiungere questo obiettivo; l’Italia deve essere forte. Non è possibile che un Paese forte come l’Italia si faccia piegare e ricattare da Maduro e compagnia. Spero di poterne parlare con la Meloni».
Lei è attualmente in esilio in Spagna e nel 2017 ha ricevuto il Premio Sakharov del Parlamento europeo per la libertà di pensiero. Qual è la sua esperienza personale e come vengono trattati i diritti umani in Venezuela?
«Il Premio Sakharov non è solo il riconoscimento di una causa, ma anche un’approvazione politica e un’opportunità per amplificare la capacità di azione in difesa dei diritti umani, soprattutto nella lotta contro la tortura e per la liberazione dei prigionieri politici. Avere questo riconoscimento è un impegno che deve essere preso molto seriamente per onorare l’eredità di Sakharov. Il Venezuela si trova in una situazione piuttosto estrema: attualmente ci sono più di 900 prigionieri politici e la morte dei prigionieri politici nei centri di tortura è ormai normalizzata. Inoltre, ci sono più di 80 stranieri rapiti dal regime venezuelano, al solo scopo di ricattare i governi di altri Paesi».
Qual è il suo rapporto e collaborazione con il Global Campus?
«Il Global Campus rappresenta l’alma mater di coloro che credono nei diritti umani e nell’eredità di Andrés Sakharov. Questo è il quadro del mio rapporto con questa scuola. È un bellissimo spazio per condividere esperienze e conoscenze nell’attivismo e nella difesa dei diritti umani, un luogo di creazione e un punto di incontro e coordinamento globale. Mi sento onorato di poter collaborare e condividere esperienze con il Global Campus e spero di continuare a lavorare con loro».
Il prossimo 15 giugno sarà invitato alla Venice School for Human Rights Defenders: di quali argomenti parleremo e quanto è importante mantenere l’attenzione sul rispetto dei diritti umani?
«Il 15 giugno tornerò al Campus per parlare della volontà di essere liberi di coscienza, della responsabilità e dei rischi dell’essere difensori dei diritti umani, nonché del potere dell’arte e della poesia nell’azione per la difesa della dignità umana. Porterò con me le poesie che ho scritto durante gli anni di prigionia per rifletterci insieme».
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