Le mani su Cortina, lo zio dei Cobianchi: «Meglio fermati dai pm che dai criminali veri»
Mosse estorsive sulla movida in vista delle Olimpiadi, ll giornalista Ugo Dinello ha visto crescere i fratelli Leopoldo e Alvise: «Rovinati dalle cattive amicizie in curva ma non hanno lo spessore criminale necessario»

«Spavaldi di essere» era lo slogan degli Irriducibili Lazio. E sembra cucito su misura addosso a Leopoldo Cobianchi. Meno ad Alvise, che non è tifoso laziale, ma dell'Inter. Il 38enne romano Leopoldo è detenuto da mercoledì a Regina Coeli, mentre il fratello 36enne è agli arresti domiciliari, nella casa di famiglia della Camilluccia.
Il terzo indagato dell'operazione Reset, Daniele Mazzarella, è sottoposto all'obbligo di dimora nella capitale e la Procura di Venezia gli accredita un ruolo secondario nella batteria che avrebbe gestito lo spaccio di cocaina a Cortina, condizionato i locali della movida con il metodo mafioso e cercato d'infiltrarsi negli appalti delle Olimpiadi invernali 2026. Il giornalista ed esperto di mafie veneziano Ugo Dinello è lo zio dei Cobianchi. Fratello della loro madre Cristina.
Perché due pischelli di buona famiglia si sarebbero messi in testa di colonizzare Cortina?
«Credo siano rimasti coinvolti in un gioco più grande di loro fatto di machismo e ricatti all'interno di un gruppo sociale tossico, come la curva Nord dello stadio Olimpico di Roma. Cedere alle lusinghe della parte buia delle bande violente anche solo una volta può portare a trovarsi invischiati in un contesto che ti afferra e non ti lascia più. Vorrei dire ai ragazzi che una scelta di legalità è sempre conveniente».
Che bambini erano Leopoldo e Alvise? Promettevano bene o male?
«Erano buonissimi bimbi, d'estate venivano in vacanza al Lido di Venezia, passavamo un sacco di tempo insieme ed erano buoni d’animo ed educati. Le ferie di Natale, invece, si svolgevano a Cortina. Hanno cominciato a frequentare la cittadina ampezzana fin da piccoli e la conoscono molto bene. Papà è un immobiliarista, mamma una gallerista e sono cresciuti nella bambagia».
Cosa potrebbe averli guastati, nel corso dell'adolescenza?
«Le cattive compagnia frequentate allo stadio, a cominciare dal leader degli Irriducibili, Fabrizio Piscitelli. Leopoldo e altri ragazzi erano convinti di essere diventati dei pretoriani di "Diabolik", attratti dalla forza “nera” delle bande. Si vantavano di essere suoi amici, anche dopo il suo assassinio del 2019 e dalle carte emerge che millantavano di essere dei pregiudicati, anche se erano degli incensurati. Una balla dietro l’altra».
Stadio, palestra e sezione di uno dei movimenti di estrema destra?
«Calcio di sicuro e pesistica anche. Soprattutto Leopoldo aveva cominciato a frequentare una palestra e ad assumere anabolizzanti per far crescere la muscolatura. Rispetto al ragazzo che conoscevo, era completamente cambiato fisicamente. Grande, grosso, in confronto ad Alvise. Sono diventati spavaldi di essere, come dicevano gli Irriducibili. Non so della politica, a parte un tatuaggio di Leopoldo con la scritta Dux (poi cancellata), ma di certo la curva della Lazio è sempre stata connotata dalla militanza nella destra extraparlamentare».
Cosa facevano a Cortina, negli ultimi tempi? Sapeva di attività illegali?
«Non le ho mai nemmeno sospettate, altrimenti li avrei denunciati io per primo assieme ai suoi genitori. Ci mancherebbe altro. Leopoldo diceva che voleva essere tra chi comandava. Me lo ha raccontato una volta in stazione a Venezia, ma era completamente fuori dalla realtà, Io i mafiosi veri purtroppo li conosco. Invece lì avevo di fronte uno che viveva in un mondo tutto suo, un mitomane. L’ho avvertito: “Guarda che se un mafioso vero viene a sentire le idiozie che dici ti fa la pelle”. Continuava a ripetere che lui era cresciuto per strada, che aveva fatto la galera e sapeva quanto era dura. Gli ho ricordato che era cresciuto in una villa bellissima con piscina nel cuore di Roma, seguito da due camerieri. Gli ho ripetuto che lui in galera non c’era mai stato. Niente, non mi ascoltava. Ho capito tutto il suo disagio psichico, ho cominciato a soffrire come un cane nel vederlo così».
I due non lavoravano. Come campavano, con tutti i lussi immaginabili?
«Sapevo che organizzavano eventi, il cosiddetto “après sky”. Feste riservati ai turisti di alto livello, che volevano festeggiare, dopo una giornata sugli sci e si toglievano gli scarponi per indossare le scarpe firmate. Quanto ai lussi: Alvise vive ancora in una cameretta a casa dei suoi genitori. Leopoldo si è fatto prendere in affitto un piccolo appartamento in piena periferia. Finalmente capirà cosa vuol dire essere un borgataro vero».
Assumevano cocaina o si limitavano a venderla in esclusiva, come contesta la Procura veneziana?
«Non li mai visti nemmeno fumare una normale sigaretta, figuriamoci assumere sostanze stupefacenti. Per questo non credo alla storia della droga».
Se li vede a spacciare, minacciare la concorrenza, imporre gli eventi ai locali e cercare di entrare nell'affare degli appalti olimpici?
«Due senza arte né parte entrare negli appalti che fanno gola ai boss veri? Se hanno fatto tutto questo, meritano una condanna esemplare e di pagare il prezzo con la società, ma rimango dell'idea che non abbiamo lo spessore criminale necessario. Credo che alla fine la storia sarà quella che è: un mitomane che viveva in un mondo suo e che andava a dire di essere amico di Diabolik. Senza nemmeno capire che un mafioso vero non avrebbe mai detto di essere amico di uno che è stato ammazzato, cioè di un “perdente di mafia”. Sarebbe come dire “non valgo nulla, chiunque mi può fare fuori”. Mi viene da dire che, per fortuna, gli investigatori della Direzione distrettuale antimafia sono arrivati prima della mafia vera, altrimenti per i miei nipoti sarebbe andata a finire male».
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