Divieto cannabis light, Nicola costretto a chiudere la sua azienda: «Mi hanno tolto tutto»
Nicola Tassotto è titolare di Green Ladybug, azienda che dal 2018 coltiva la canapa a Sutrio. «Collaboravano con l’università, dalle nostre piante un aiuto alla ricerca. Ora sono stato costretto a distruggerle tutte»

«Scusi se mi commuovo, è la rabbia che mi monta dentro quando penso a questa situazione, ai clienti che mi chiamano e che non posso più aiutare». Mentre parla della sua canapa, Nicola Tassotto ha gli occhi lucidi. A inizio ottobre, infatti, ha deciso di interrare le piante che erano( e sono) al tempo stesso il suo lavoro e la sua passione. Tassotto è titolare dell’azienda agricola Green Ladybug, fondata nel 2018 a Sutrio. Da sette anni, infatti, insieme alla compagna Maria Candoni, gestisce l’impresa che si occupa della coltivazione con metodi esclusivamente naturali della canapa.
IL PODCAST
Le sue piante curava decine di animali in tutta Italia, oltre a contribuire alla ricerca: dallo scorso anno, infatti, l’azienda di Tassotto, grazie a una convenzione con l’Università di Messina, contribuiva a portare avanti studi sui benefici dell’utilizzo della pianta nell’ambito della medicina veterinaria, alcuni dei quali sono finiti sulle maggiore riviste internazionali.
Un’attività che, suo malgrado, ha deciso di interrompere, proprio sul più bello. Dallo scorso giugno, infatti, il decreto sicurezza, ha reso vietati la coltivazione e il commercio della pianta, anche nel caso, come quello di Green Ladybug, di aziende che collaborano esclusivamente con medici o veterinari.

«Non sapendo come muovermi ho chiamato i carabinieri. Insieme abbiamo deciso di interrare circa 400 chili di infiorescenze: i rischi erano troppo alti, soprattutto perché in società con noi c’è un medico veterinario che sotto il profilo deontologico con una sostanza stupefacente non può aver nulla a che fare. Per questo abbiamo chiuso il sito e cambiato codice Ateco».
Un duro colpo per imprenditore a cui lo Stato ha impedito di portare avanti ciò su cui aveva dedicato tempo, energie e investimenti economici. Allo stato attuale, infatti, chi viene trovato a possedere delle coltivazioni di canapa rischia l’arresto, sebbene, nel caos legislativo che si è venuto a creare, quasi tutti i giudici stiano dando ragione ai produttori.
L’APPROFONDIMENTO
«È impensabile che lo Stato butti in mezzo a una strada chi, come me, ha dedicato a questa attività gli ultimi sette anni della propria vita. Noi dallo scorso maggio non abbiamo entrate, stiamo vivendo di quello che avevamo guadagnato, ma la situazione è insostenibile». Nicola, come tutti, vive del proprio lavoro, e, nonostante nel frattempo abbia trovato un piccolo impiego, le difficoltà, non solo economiche, sono molte. «Io ho 52 anni, mi sono ritrovato a chiedere soldi alla mia compagna o a mia mamma, Nicola (Dorissa, il ragazzo che gestiva direttamente i campi, ndr), ai suoi genitori».
Il rammarico è doppio perché, dopo tanti sacrifici, la sensazione è che l’azienda fosse a un passo da una duplice svolta: «A breve, racconta Nicola, avremmo dovuto iniziare a collaborare con un’altra Università, per avviare un progetto di ricerca scientifica sui benefici della canapa naturale a fini terapeutici anche sugli esseri umani. In più, proprio la scorsa primavera avevamo assunto la nostra prima dipendente: il caso ha voluto che il suo periodo di prova scadesse proprio nel giorno in cui è uscito il decreto, perciò non abbiamo potuto assumerla: per me è stato un dolore, dare lavoro a una persona significava molto».

«Un danno alla ricerca»
Fiore all’occhiello del lavoro di Nicola, come detto, la collaborazione con l’Università di Messina. «Individuare delle sostanze che possano sostituire determinati farmaci per noi è importantissimo, e ho trovato in Green Ladybug una ditta estremamente seria con prodotti molto validi. Vedevamo che sugli animali le sostanze restituivano risultati incoraggianti», spiega la professoressa Claudia Interlandi, del Dipartimento di scienze veterinarie dell’ateneo siciliano. «Non abbiamo registrato alcun effetto psicotropo, bisogna ancora proseguire nella ricerca ma le prime risposte sono state molto positive».
Ora, con il blocco delle attività di Green Ladybug, l’Università stessa si trova in una situazione di difficoltà. «In teoria possiamo ancora reperire la cannabis sativa come farmaco stupefacente, ma non la possiamo più “lasciare” ai proprietari degli animali». In sostanza, l’Ateneo potrebbe utilizzare i prodotti derivanti dalla canapa a basso contenuto di Thc sono all’interno della propria struttura. «Chiaramente, è impensabile pensare di continuare a somministrare i farmaci solo in clinica: come si può pensare, ad esempio, di portare qui ogni giorno un cavallo per due mesi? Non è una strada percorribile».
La nuova interpretazione normativa, secondo Interlandi, è fuori luogo sotto vari punti di vista. «Crea un danno alla ricerca, crea un danno ai pazienti. E lo fa immotivatamente: è comprovato da tutta la ricerca internazionale che queste sostanze non hanno alcun effetto psicotropo».
La canapa in Carnia
La canapa, fra l’altro, è parte integrante della cultura di quel territorio: «Veniva chiamato oro verde. Negli anni Quaranta e Cinquanta, spiega Nicola, in questa zona la canapa cresceva naturalmente,
e veniva utilizzata nel settore tessile: ci si costruiva, ad esempio, i corredi nuziali, con lenzuola coperte». GreenLadybug, insomma, non ha fatto altro che dare nuova vita a una tradizione che in Carnia esisteva da sempre, e che è stata interrotta a partire dagli anni Sessanta con l’irrigidimento delle norme. «Gli anziani, infatti, tuttora non associano la canapa alla droga. Questa convinzione è nella testa di chi ha 50-60 anni».
Nonostante tutto, Nicola non perde la speranza e crede che un domani quella pianta che gli ha dato tanto tornerà ad essere protagonista delle sue giornate. «Di una cosa sono convinto: in futuro tornerò a lavorare con la canapa».
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