Smog nel Nord Est: le domeniche a piedi non bastano a salvare i polmoni
Padova, Vicenza, Verona e Venezia tra le città più inquinate d’Europa: servono interventi pubblici concreti su trasporti, riscaldamento e industria


Sette aspirine per curare una broncopolmonite cronica. Le domeniche a piedi aperte in Veneto, e che dureranno fino ad aprile, garantiscono un sollievo contro l’aria inquinata che si esaurisce nell’arco delle ventiquattr’ore: «Più che cambiare, sollevano le coscienze», segnala Annibale Biggeri, docente di Epidemiologia medica all’Università di Padova.
I numeri lo comprovano con schiacciante evidenza: 144 giorni di sforamento annuo dei limiti nella stessa Padova, 140 a Vicenza, 138 a Verona, 122 a Venezia; a salvarsi è la sola Belluno. Ma anche il Friuli Venezia Giulia paga pesantemente dazio, specie nella destra Tagliamento, con il caso-limite di Brugnera e comunque con indicatori pesanti, da Pordenone a Sacile.
Il Nord Est è la sezione terminale, e proprio per questo la più compromessa, di una gigantesca camera a gas quale la pianura Padana, di gran lunga l’area più inquinata d’Europa: le concentrazioni di inquinanti nell’atmosfera sono fino a quattro volte più elevate rispetto alla soglia indicata dall’Organizzazione mondiale della sanità per la salute umana. Le domeniche a piedi valgono a segnalare il problema, non a risolverlo, nemmeno in piccola parte: l’inquinamento derivante dalle automobili pesa appena per l’11 per cento del totale, il resto va imputato al riscaldamento, all’agricoltura intensiva, alle attività industriali. Mettere al bando i caminetti domestici, e perfino i falò e i fuochi d’artificio, equivale sì a spegnere le fiamme, ma anche ad alimentare ancora più fumo. D’altra parte, lo dimostra l’esperienza: le misure antismog, a partire dalle domeniche a piedi, risalgono agli anni Ottanta del secolo scorso: lungi dall’attenuarsi, l’inquinamento continua ad aumentare.
Ne sono consapevoli per primi proprio i sindaci, che pure devono mettere in atto i blocchi a singhiozzo: non a caso quello di Treviso, Mario Conte, si è fatto promotore lo scorso anno di un «patto per una pianura Padana che respiri» cui hanno aderito numerosi primi cittadini del Nord, Milano e Torino in testa. Da loro è partita un’articolata richiesta al governo perché garantisca misure e finanziamenti adeguati sul piano del trasporto di persone e merci, delle attività agricole e industriali, di interventi concreti a partire da piani organici di sostituzione delle caldaie obsolete e dell’efficientamento energetico degli edifici in genere. Si attende ancora risposta; e sarà una lunga attesa; a spese dei polmoni di tutti.
Certo, la questione è di enorme portata, a fronte dell’esistente: troppo a lungo abbiamo ignorato o comunque sottovalutato il fenomeno, da autentiche cicale dell’ambiente. A cominciare dalla mobilità: l’età media del parco auto nelle regioni del Nord supera i 13 anni, il 60% dei mezzi ne ha più di 10. Ancor peggio sul fronte del riscaldamento: gli impianti con oltre 15 anni di vita superano largamente il 30%. Gli incentivi a sostituirli si sono rivelati inadeguati: il superbonus ha dato esiti mediocri, lo stesso per il passaggio dalle vecchie caldaie alle pompe di calore. D’altra parte, i costi sono elevati: per rimpiazzare una caldaia tradizionale servono tra i 4 e i 5 mila euro, per installare un impianto carbon-free si arriva a 10 mila per la sola centrale termica. Ecco perché occorrono interventi pubblici significativi, come chiedono i sindaci padani.
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