«I rifugi d’alta quota non sono alberghi»: summit dei gestori contro l’overtourism in Val di Fassa

I rifugi alpini hanno raggiunto il limite per arrivi e presenze. Un gestore: «Volete capire che con questi cambiamenti climatici non potete pretendere di farvi la doccia tutti i giorni?»

Francesco Dal Mas
Un'immagine del summit
Un'immagine del summit

Overtourism, i rifugi alpini hanno raggiunto il limite: «Non siamo né ristoranti, né alberghi» protesta Mario Fiorentini, gestore del Città di Fiume. Che insiste, rivolto ai sempre più numerosi e pretenziosi visitatori: «Volete capire che con questi cambiamenti climatici non potete pretendere di farvi la doccia tutti i giorni?».

I rifugi – 35 quelli del Cai, il doppio compresi quelli privati – hanno chiuso da un mese, ma alcuni si preparano a riaprire quest’inverno, addirittura col ponte dell’Immacolata, come appunto il Città di Fiume, ai piedi del Pelmo.

Il vertice

La Fondazione Dolomiti ha riunito numerosi gestori di rifugi, bellunesi e trentini, in Val di Fassa, per due giornate intense di riflessione su come interpretare il proprio ruolo, in un contesto ambientale e antropico in rapido mutamento.

Una riflessione corale sul concetto di limite, variamente declinato: «Il limite ormai raggiunto da alcune località delle Dolomiti per quanto riguarda arrivi e presenze; i limiti delle strutture stesse dei rifugi d’alta quota, che non sono e non devono diventare ristoranti o alberghi» dice Mara Nemela, direttrice della Fondazione Dolomiti Unesco, che ha coordinato i lavori, «Il limite dettato dalla crisi climatica, che ha acuito il problema dell’approvvigionamento idrico e quello di un approccio prudente alla montagna, soggetta a rapidi e spesso imprevedibili mutamenti».

Tante le esperienze portate all’attenzione dell’assemblea da parte di gestori che operano in contesti ambientali, economici e sociali molto diversi tra loro.

Basta caos

I rifugisti che operano lungo le Alte Vie più frequentate - la numero 1 che va dal lago di Braies e si conclude a Belluno, e la numero 2 che parte da Bressanone e arriva a Feltre – sono esasperati dal pressing dei grandi numeri. I loro colleghi dei rifugi più periferici sono, per contro, catturati dalla tentazione di mollare, perché basta una stagione piovosa per non far tornare i conti.

Una differenziazione che, se da un lato rende impossibile individuare una ricetta univoca per una frequentazione sostenibile delle Dolomiti, dall’altro stimola la riflessione sulla complessità del «sistema montagna» e sulla necessità di proseguire sulla strada del dialogo e del confronto di buone pratiche.

Il punto

«Siamo giunti alla nona edizione dell’incontro annuale tra i gestori di rifugio dell’area core» commenta Nemela, «Per noi è un appuntamento importantissimo per comprendere le dinamiche che caratterizzano la frequentazione della montagna. Quest’anno abbiamo parlato di flussi e di senso del limite, un tema che non chiama in causa solo misure gestionali, ma anche la rappresentazione che di un territorio viene offerta sui media, in generale, e sui social, in particolare. I gestori di rifugio hanno evidenziato come il tema della gestione dei flussi sia da considerare dal punto di vista qualitativo e non solo quantitativo e come occorra dunque proseguire sulla formazione e l’educazione verso i frequentatori, affinché siano sempre più consapevoli dei limiti che la natura stessa impone».

Problemi concreti

In concreto? La scarsità d’acqua, a seguito delle riserve nivali sempre più ridotte. L’overtourism che impone anche i doppi e tripli turni a pranzo o l’esaurimento dei posti letto con le prenotazioni, per certi periodi, da un anno all’altro. «La frequentazione negli ultimi anni è aumentata» ha osservato Fiorentini, «ma le problematiche più grosse si riferiscono alle caratteristiche dei frequentatori: percepiamo il peso di questo cambiamento in base a quanto si mostrano consapevoli di dove si trovano e dei limiti delle nostre strutture».

D’accordo anche Ivo Piaz, del rifugio Preuss, nel gruppo del Catinaccio: «È sempre più difficile trovare il tempo da dedicare alla clientela, per aiutarla a comprendere dove si trova. Anche questo è un limite: noi siamo solo l’ultimo scalino, occorrerebbe un’educazione di base alla montagna, a partire dalle scuole».

Un patrimonio da difendere

«Una delle responsabilità dei gestori di rifugio, anche alla luce del riconoscimento Unesco, è quella di far accrescere la consapevolezza dei valori del patrimonio» evidenzia il geologo Piero Gianolla, «Si tratta di valori geologici e paesaggistici, che chiamano in causa la necessità, da parte di tutti, di mantenere l’integrità naturale del luogo».

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