Pfas, la sentenza storica: 141 anni ai manager Miteni. I giudici: «Sapevano di avvelenare le acque»
Nelle motivazioni della Corte d’Assise di Vicenza emerge la consapevolezza della Miteni sull’inquinamento da Pfas dal 2009. Condannati 11 manager, risarcimenti per 75 milioni. I giudici parlano di dolo eventuale e scelte aziendali orientate alla convenienza economica

C’è la storia del più spaventoso avvelenamento delle acque in Europa causato dai Pfas nelle motivazioni della sentenza della Corte d’Assise di Vicenza, che il 26 giugno ha inflitto 141 anni di carcere a 11 dei 15 manager del colosso chimico di Trissino. In 2.062 pagine la giuria popolare presieduta da Antonella Crea (giudice a latere Chiara Cuzzi) spiega perché ha accolto la ricostruzione dei pm Paolo Fietta e Hans Roderich Blattner, con una sentenza storica in materia di disastro ambientale.
Il nodo centrale della sentenza è netto: Miteni sapeva di inquinare il torrente Poscola almeno fin dal 2009 e dopo l’allarme del Cnr scattato nel 2013, grazie alle ricerche di Stefano Polesello e Sara Valsecchi e le ordinanze della Regione Veneto, ha continuato a produrre le nuove molecole GenX e C604 senza curarsi dei danni alla salute pubblica.
Gli 11 imputati
Ecco perché si arriva alla condanna di 11 imputati: ai giapponesi Maki Osoda sono stati inflitti 11 anni di reclusione; Naoyuki Kimura 16 anni; Yuji Suetsune 16 anni. Ai tedeschi Patrick Fritz Hendrik Schnitzer e Achim Georg Hannes Riemann 17 anni, a Martin Leitgeb 4 anni e 6 mesi; all’olandese Alexander Nicolaas Smit 16 anni mentre all’irlandese Brian Anthony Mc Glynn 17 anni e 6 mesi.
Ad Antonio Alfiero Nardone 6 anni e 4 mesi, a Luigi Guarracino 17 anni, Davide Drusian 2 anni e 8 mesi. Sono stati assolti Kenji Ito, Mario Fabris, Mauro Cognolato e Mario Mistrorigo.
La sentenza ha anche disposto il risarcimento a 300 parti civili: l’indennizzo più rilevante al ministero dell’Ambiente con 56 milioni di euro, alla regione Veneto 6,5 milioni, ai comuni della zona rossa tra Vicenza,Padova e Verona da 80 a 120 mila euro, alle mamme No Pfas con il sangue contaminato dai veleni, i risarcimenti vanno dai 15 ai 20 mila euro. Tirate le somme si arriva a 75 milioni.
Il passaggio chiave, secondo i giudici della corte d’Assise di Vicenza, è la consapevolezza dell’inquinamento legato ai Pfas. Si parte dal 2009 quando a Miteni-Icig arriva il dossier della società milanese Erm in cui si segnalano i punti critici: le barriere idrauliche sul torrente Poscola non bloccano la dispersione dei veleni e i comitati popolari avviano le prime richieste di risarcimento.
Diritto ambientale
«Il diritto ambientale della prevenzione della tutela - scrivono i giudici - non si esaurisce con la disciplina sulle bonifiche, ma è molto più articolato, in quanto per le sostanze non normate vieta tassativamente la loro immissione significativa e misurabile nell'ambiente dove prima queste non c’erano e ne impone la drastica e totale rimozione».
Miteni “avrebbe potuto sospendere quanto meno le produzioni più pericolose in base al principio di precauzione, per evitare che la contaminazione si aggravasse. Pur in assenza di certezze scientifiche assolute, era necessario tutelarsi’’. Di qui il concetto di “dolo eventuale”: a Trissino hanno accettato il rischio di inquinare, con tutte le conseguenze. E molte informazioni sono state «occultate» dagli imputati. La mancata messa in sicurezza del colosso chimico si è tradotta in “un risparmio di spesa significativo’’ perché gli ingenti costi per affrontare seriamente l’inquinamento “avrebbero inciso pesantemente sui bilanci”. La scelta di non intervenire viene letta come una decisione orientata alla “convenienza economica”.
Appena messi fuori produzione i Pfas a catena lunga ( Pfoa e Pfos) Miteni ha iniziato a produrre nuove molecole, come GenX e C6O4, e lo ha fatto «quando il sito era già gravemente compromesso». Ciò “aggrava consapevolmente il rischio ambientale. Non si tratta di attività marginali, ma di produzioni strutturate, inserite nella strategia industriale”.
Questo passaggio, secondo la corte d’Assise di Vicenza, rafforza ulteriormente il giudizio di dolo, perché le scelte aziendali hanno “reiterato e ampliato l’ inquinamento su larga scala avvelenando le acque sotterranee delle province di Vicenza, Verona e Padova, con rischi per la salute pubblica” di 300mila persone. Infatti, il governo ha finanziato con 80 milioni la costruzione di 4 nuovi acquedotti perché i filtri a carbone non eliminano al 100% i Pfas.
Immediate le reazioni. Silvana Fanelli (Cgil veneta) parla di una sentenza “pietra miliare nella difesa della popolazione” e invita l’Inail a riconoscere la malattia professionale ai lavoratori ex Miteni. Cristina Guarda, eurodeputata dei Verdi e per anni in consiglio regionale, sottolinea come la sentenza abbia riconosciuto sia l’inquinamento storico che le nuove contaminazioni da GenX e C604. E le mamme No Pfas? Hanno iniziato a leggere le 2062 pagine con il loro avvocato Matteo Ceruti e attendono che il parlamento vari la legge sugli scarichi Zero Pfas nelle acque, dopo l’ultimo convegno a Roma con i sottosegretari del governo Meloni. —
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