Lo scrittore Matteo Righetto: «La montagna non è un parco giochi, serve rispetto e consapevolezza»

Righetto riflette sulla crisi delle montagne venete tra frane, scioglimento dei ghiacciai e overtourism. «Dietro questi fenomeni c'è la mano dell'uomo. Basta chiudere gli occhi, è ora di ascoltare il richiamo della montagna»

Sabrina Tomè
Matteo Righetto
Matteo Righetto

Matteo Righetto nei suoi libri e in particolare nell’ultimo, “Il richiamo della montagna”, lei racconta il rapporto uomo-natura in tutte le sue sfumature: la montagna sfidante, autentica, rigenerativa.  Che libro sarebbe quello sulla montagna franata, spazzata via da Vaia e dai ghiacciai che si staccano sulla Marmolada, mangiata dal bostrico, consumata dall’overtourism?

«La montagna più autentica e urgente che in questi tempi ci sta lasciando la sua voce. E questa voce ci richiama a una consapevolezza che purtroppo solo con molta fatica mettiamo a fuoco nelle nostre idee e nel nostro agire rispetto ad essa. Oggi sta succedendo quanto denuncio da tempo: ci limitiamo a guardare gli effetti, il momento, senza invece ragionare sulle cause; siamo la società forsennata e vorticosa che io definisco dei 10 secondi. Passata una cosa, basta, non se ne parla più.

Quando scende una frana che insiste e persiste su quella vallata e travolge più di una volta l’abitato di Cancia e isola Cortina, ecco, ci sta dicendo che le montagne sono vive, non sono un playground, un parco giochi. Dobbiamo ristabilire una consapevolezza che ci porti necessariamente a ripensare il futuro. Le frane ci sono sempre state, ma quello che sta accadendo ripetutamente in questi mesi e negli ultimi anni non è normale: c’è una frequenza anomala.

E questo perché le temperature sono più alte: fondono il permafrost e scatenano fenomeni meteorologici con tanta pioggia che si infiltra, spacca le rocce e poi viene giù tutto. La causa è cambiamento climatico, il surriscaldamento del pianeta. Su questo bisogna riflettere e non fermarci, come invece facciamo, a guardare la frana».

Dietro questi eventi c’è solo la mano dell’uomo o anche il decorso della natura?

«Quasi esclusivamente la mano dell’uomo. Le montagne dal punto di vista orografico franano, ma quanto sta accadendo ora è frutto dell’uomo. Molti fingono di non vedere, magari dicendo che viene prima l’economia senza considerare che questi eventi hanno in realtà costi enormi. C’è stato un consumo di suolo, si è costruito ovunque, ma niente, non ne parliamo. Guardiamo solo la frana e non la montagna che si sta muovendo da anni; così come non guardiamo il ghiacciaio della Marmolada in movimento da decenni ma dopo la tragedia non se ne parla più».

Chi dovrebbe farlo?

«I primi dovrebbero essere proprio i montanari che vedono deflagrare la loro identità e collassare il territorio. Dovrebbero difendere il territorio così come i Sami lo fanno con la Lapponia canadese o come i nativi americani che difendevano la sacralità delle terre d’America».

In più occasioni lei ha parlato dell’importanza che gli intellettuali si “sporchino le mani” su questi temi. Non solo i residenti, la sua è una chiamata alla consapevolezza generale quindi.

«Dobbiamo sentirci tutti impegnati nel difendere la casa comune: le terre, le montagne i mari. Il Mediterraneo sta raggiungendo in questi giorni temperature record, questo significa che ci aspettano bombe d’acqua e tempeste».

E il turista? Cosa deve fare concretamente?

«Deve rendersi conto che questi luoghi hanno una loro sacralità, sono vivi e meritano rispetto, non vanno sfruttati. Dobbiamo prendercene cura, esserne custodi. La montagna non è un parco giochi. Ci si può chiedere cosa abbia a che fare tutto questo con la frana: ha assolutamente a che fare. Quando uno ha una malattia, prima di tutto deve avere il coraggio di riconoscersi malato e solo dopo può iniziare la terapia. Ma qui siamo davanti a una società che non ascolta neanche il medico».

A breve ci saranno le Olimpiadi: un’occasione o un rischio?

«Mi preoccupa il dopo, perché ci sarà una aggressione in termini di presenze e spostamenti. Sono la punta dell’iceberg di un’aggressione del suolo e di una visione edonistica ed egoistica. Alla montagna abbiamo tolto tanto, è venuto il momento di restituirle qualcosa».

Come vive lei personalmente la sofferenza della montagna?

«Mi spiace moltissimo per chi vive in quei paesi a rischio. Il primo pensiero va alle persone che si trovano in questa situazione di disagio. E poi per me la montagna ha il suo spirito vitale, la sua sacralità. E provo compassione profonda». 

 

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