Disastri petroliferi nel Mediterraneo: gli studiosi stilano la mappa dei rischi

Il mare Egeo è tra le zone più critiche per la conformazione e per il numero di sversamenti: in tre giorni coste inquinate. Lo studio

Giulia Basso
Un volatile salvato dai volontari per essere ripulito dal petrolio (Ansa)
Un volatile salvato dai volontari per essere ripulito dal petrolio (Ansa)

Tre giorni. Questo è il tempo che avremmo a disposizione per intervenire se domani una petroliera si spezzasse al largo delle isole greche. Settantadue ore per mobilitare navi, contenere le chiazze, proteggere le coste prima che tonnellate di greggio trasformino il mar Egeo in una distesa nera. È quanto emerge da uno degli ultimi studi sui rischi petroliferi nel Mediterraneo, realizzato da un team internazionale di ricercatori che ha processato oltre 2 milioni di simulazioni virtuali per disegnare la prima mappa completa della vulnerabilità del Mare Nostrum.

«Il mar Egeo è uno degli scenari che ha attirato maggiormente la nostra attenzione», spiega Donata Melaku Canu, ricercatrice dell’Ogs e coautrice dello studio, pubblicato su Marine Pollution Bulletin. «È l’area più critica del Mediterraneo per due fattori principali: le caratteristiche fisiche e geografiche, e la pressione antropica che lo caratterizza».

I numeri sono impietosi. Nel mar Egeo il 30% del petrolio sversato finirebbe sulle coste in appena 3,1 giorni. «Parliamo di un’area con numerose isole, baie e coste frastagliate che facilitano l’intrappolamento del petrolio», continua Canu. «Inoltre, i regimi di vento e corrente tendono a spingere rapidamente l’inquinante verso la costa». La vulnerabilità non è solo geografica. Il team guidato da Svitlana Liubartseva del Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici ha basato le simulazioni su dati satellitari reali degli ultimi sei anni, che mostrano proprio nel mar Egeo una concentrazione più alta di sversamenti. «È anche per questo che rappresenta una delle zone da monitorare con maggiore attenzione», sottolinea la ricercatrice.

La minaccia è più vicina a terra di quanto immaginiamo. Studi internazionali dimostrano che l’88% degli sversamenti avviene entro 100 chilometri dalla costa, una distanza indice di un impatto quasi garantito sulle aree più densamente popolate d’Europa. «Per questo le strategie di prevenzione devono dare priorità alle aree costiere, dove l’impatto può essere immediato e diretto», conferma Canu.

L’Alto Adriatico racconta una storia solo apparentemente differente. «Nel nostro studio risulta, a prima vista, meno a rischio rispetto ad altri bacini come il mar Egeo – sottolinea Canu –. Ma questa apparente sicurezza può essere ingannevole, perché se guardiamo i tempi di arrivo del petrolio vediamo che in caso di sversamento l’impatto sulle coste adriatiche sarebbe molto rapido. Il motivo per cui il modello mostra un rischio minore è che in passato lì si sono verificati meno incidenti».

Vinko Bandelj, collega di Canu all’Ogs, aggiunge: «Il Nord Adriatico è una delle zone a maggiore rischio per lo sversamento del petrolio. Per conformazione geomorfologica, quantità di traffico e sensibilità degli ecosistemi marini, la risposta deve essere nell’ordine delle ore». Se domani una petroliera si spezzasse al largo di Malta o nel mar Egeo, saremmo pronti?

A livello regionale, Rempec – il centro per le emergenze da inquinamento marino con sede a Malta – coordina una rete di intervento che coinvolge tutti i Paesi del Mediterraneo, ma «poiché molte delle misure previste sono ancora in fase di sviluppo e non pienamente operative in tutti i Paesi, non possiamo dire con certezza che l’attivazione avverrebbe velocemente ovunque», ammette Canu.

«Il mare non ha confini, e anche l’inquinamento non ce li ha», spiega Bandelj. «Perciò la risposta deve essere coordinata e congiunta». È su questo che si concentrano progetti come Asap, che mira a creare un piano di contingenza per tutto l’Adriatico. L’integrazione tra ricerca e sistemi di monitoraggio europei rappresenta la chiave. «Copernicus permette non solo di fare ricerca solida, ma soprattutto di fornire supporto concreto agli enti pubblici, autorità marittime, Protezione civile», sottolinea Canu. Il futuro richiede azioni immediate. «Le autorità devono impegnarsi a garantire risorse adeguate», conclude Bandelj, «perché uno sversamento di petrolio può accadere: l’intensificarsi del traffico aumenta il rischio e dobbiamo essere preparati».

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