Il Cai Veneto: «La montagna non è per chiunque, bisogna arrivarci a piedi»
Il presidente regionale Francesco Abbruscato: «L’overtourism è una preoccupazione. Non si può raggiungere tutto in auto. Sì alle prenotazioni, servirà il numero chiuso»

«L’overtourism è il problema che ci preoccupa di più. Per farvi fronte, in questo momento possono andar bene le prenotazioni per salire verso i siti più iconici in montagna, ma dobbiamo presto arrivare al numero chiuso, programmato. O, meglio ancora, ad una cultura del limite: avere la coscienza che non si può andare ovunque, magari in auto o in funivia. Dove si arriva a piedi, bene, altrimenti stop».
Francesco Abbruscato non ammette scorciatoie. È il nuovo presidente del Cai Veneto, 70 mila soci, che l’altro giorno a Padova ha tenuto il primo cda.

Dopo Braies, le prenotazioni arriveranno per l’accesso alle Tre Cime di Lavaredo. Condivide la misura assunta dal Comune di Auronzo?
«È una misura iniziale, è anche quella più immediata. Ma per arginare l’overtourism bisogna promuovere una cultura nuova: far camminare di più la gente, che è anche salutare. Dobbiamo fare in modo che raggiungere determinati posti sia una cosa più impegnativa, perché non possiamo portare tutto alla portata di mano. Quindi alla portata di cabinovie o navette. Se noi portiamo tutto a disposizione di tutti, facciamo un’operazione da usa-e-getta. Questi luoghi bellissimi non si apprezzano più. Pensi che al rifugio Galassi, sull’Antelao, ho chiesto a degli escursionisti: sapete dove siete arrivati? No – è stata la risposta – ci dica lei quali montagne abbiamo davanti».
E allora perché hanno faticato così tanto per salire?
«Per farsi un selfie, come al lago Sorapis. Quando arrivano sopra, non percepiscono niente di quella che è la bellezza del posto. Eppure la montagna, soprattutto dopo il Covid, è un’ancora di salvataggio per tanti. Dove vorrebbero trovare una natura incontaminata, la purezza d’aria. Però se vi trasportiamo la comodità della città, non è più montagna».
Quindi le alte quote destinate esclusivamente a chi cammina?
«Si, basta strade, basta sentieri, stoppiamo anche le ferrate. Rinunciamo a nuovi impianti di risalita. E accompagniamo la gente a camminare. L’uomo deve riappropriarsi della frequentazione della montagna. Adesso arrivano anche i suv dei cacciatori. Basta, per favore. Torniamo a frequentare la montagna con lentezza, col proprio passo, con i propri limiti».
Magari pagando un pedaggio? Il che significa numero chiuso, o quanto meno numero programmato.
«Assolutamente no il pedaggio, perché neppure il pedaggio, come Venezia insegna, limita la frequentazione. Invece non ovviamente il pagamento di pedaggi e roba del genere, no? Se introduci la cultura della monetizzazione, arrivi addirittura a concedere la possibilità che qualcuno si senta autorizzato a rovinare, a distruggere, solo perché ha pagato. Però monetizzare questa cosa non ha nessun significato, anzi, ti porta a credere che puoi rovinare perché paghi. Il numero programmato? Dev’essere la conseguenza di tutta una serie di scelte. E tra queste scelte finalmente, dobbiamo incentivare la frequentazione di luoghi meno affollati. Anche se ci rendiamo conto del rischio».
Quale rischio?
«Riusciremo a mantenere comunque la naturalità di questi luoghi? Sarebbe quasi da non farli conoscere questi siti, tanto sono belli e quasi incontaminati. Intanto, però, incrementiamo la metodologia della prenotazione. Perfino delle palestre di roccia».
Si spieghi.
«Con le scuole di alpinismo abbiamo cominciato a divulgare il fatto che se su una palestra c’è già una scuola o due si avvisa, magari attraverso una chat, affinché non arrivi anche la terza o la quarta, fino all’intasamento della falesia. La prenotazione anche di questi impianti riporterebbe un po’ di ordine».
Fermo il no a nuovi collegamenti sciistici e funiviari per l’estate?
«Bastano e avanzano quelli esistenti. Che sono semmai da riqualificare. Nevica ormai fuori stagione. Non possiamo pensare che gli impianti siano l’unica soluzione che possa risolvere tutti i problemi della montagna e con questa scusa continuare a finanziare funivie, cabinovie. La cultura del limite fa parte del nostro decalogo del Cai. I soci che vi aderiscono le devono sapere. Lo ripeto ancora una volta: con questo aumento esponenziale di arrivi stanno salendo in montagna persone che non hanno nessuna conoscenza dell’alpinità. Non sanno dove sono, tanto meno conoscono i pericoli rappresentati dall’accesso. Le motivazioni dell’aumento di soccorsi lo stanno a dimostrare».
Vero che volete costituire il Club Alpino Dolomitico?
«Sì. Vorremmo mettere assieme Alto Adige, Trentino, Veneto e Friuli Venezia Giulia, per dialogare, affrontare i problemi, promuovere comuni iniziative. Insomma per avere una voce unica su tanti temi, a cominciare appunto dall’overtourism. Cercheremo il più possibile di lavorare con Dolomiti Unesco».
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