L’ultima moda in montagna, le grigliate nei bivacchi: l’ira del Cai Veneto
Il presidente Abbruscato apre un nuovo fronte e dice basta alla frequentazione fine a se stessa: «Le campagne social hanno stravolto il loro utilizzo a fini emergenziali»

Duro il Cai con chi abusa dei bivacchi. Anche con quanti – sempre più numerosi – ne fanno uso impropriamente. Magari per un’improvvida scampagnata con grigliata in quota. «Eventuali abusi nell’uso dei bivacchi vanno denunciati e sanzionati», raccomanda Francesco Abbruscato, presidente regionale del Cai. «Non sono più accettabili i messaggi che compaiono nei social che pubblicizzano o invitano alla frequentazione dei bivacchi fine a sé stessa. Questi messaggi vanno stigmatizzati in quanto possono provocare degli incidenti o mettere in pericolo delle persone».
Quarantuno bivacchi

Sono ben 41 i bivacchi del Cai Veneto. Venti in più se si calcolano anche le casere spesso utilizzate come rifugio provvisorio. Non sono rifugi alpini, ma microstrutture provviste soltanto di un numero misurato di posti branda, raggiungibili esclusivamente a piedi (o in elicottero, in caso di emergenza) e collocati solitamente in punti di appoggio a vie alpinistiche. La presenza maggiore è pertanto sulle Dolomiti. Dalla Baracca degli Alpini sulla cresta nordest delle Tofane di Dentro al Ghedini sul Vant de la Moiazza, dal Gera sul Ciadin del Ambata al Voltolina sulle Marmarole, dal Dal Bianco al Passo Ombretta allo Spagnolli sul Ciadin Auto Est, dallo Slataper sul Sorapiss al Carnielli-De Marchi sulla Pala dei Bàres, e via via tutti gli altri.
Bivacchi invernali, alpinistici ed escursionistici. Ma anche qualche casera come il Laghet de Sora in Val dei Frassin. Abbruscato ricorda – soprattutto a chi lo sa, ma finge di non saperlo - che sono collocati in luoghi isolati, spesso impervi. «Per raggiungerli devi aver messo sulle gambe parecchi metri di dislivello. Quando li raggiungi, non vedi l’ora di toglierti lo zaino dalle spalle, lì dentro hai il peso di tutto quello che ti serve. Il bivacco è uno spazio chiuso, definito, limitato, essenziale, in uno spazio infinito senza confini».
Si tratta, insomma, di una struttura emergenziale, che svolge un ruolo ben preciso: riparare gli alpinisti che si sono attardati all’uscita di una via di arrampicata o perché sorpresi dal maltempo. A volte aiutano nelle lunghe traversate dove non ci sono altri punti d’appoggio o come ultimo punto di ricovero prima di iniziare una salita lunga e impegnativa. Questo è il loro scopo. Per questo, le sezioni del Club Alpino Italiano, ne hanno collocati 233 sulle montagne italiane, in Veneto sono 41 dislocati principalmente lungo itinerari alpinistici.
Non serve la chiave

I bivacchi, la storia del Cai e la storia dell’alpinismo sono legati in modo indissolubile a volte come lieto fine a volte come ultimo atto di dolorose tragedie. «Sono strutture che non hanno serrature, sono sempre aperte, a disposizione di chi arriva, anche nel cuore della notte. Le Sezioni del Cai non ne ricavano un introito economico, anzi, è un investimento a perdere. Basti pensare al solo impegno per la manutenzione, a volte il completo rifacimento. Per questo l’attuale banalizzazione e l’ingiustificata frequentazione che se ne fa oggi», afferma Abbruscato, «stanno stravolgendo l’uso di queste strutture. Sempre più spesso il Soccorso alpino è costretto a intervenire per recuperare persone impreparate che si sono avventurate su itinerari ben al di sopra delle loro capacità, solo per farsi un selfie mentre guardano, sconsolati, le montagne dalla vetrata del bivacco».
Per il Cai, in sostanza, il bivacco non può essere una meta, non è un rifugio dove trovi da dormire a costo zero. Il bivacco, nella sua essenzialità, dà solo riparo. Non ha servizi, non ha confort. Di conseguenza non può essere usato come casa vacanze o, peggio, come meta alternativa per festeggiare.
«Proprio perché è un posto emergenziale deve essere utilizzato con controllo in modo da garantire sempre un posto a chi ne ha bisogno», puntualizza il presidente. «Il Cai non può e non vuole limitare l’accesso ai bivacchi», sottolinea Abbruscato. «Il posto “branda” non è prenotabile. Quello che possiamo fare come associazione è divulgare il più possibile una cultura della frequentazione della montagna. Invitare e accogliere nelle nostre sezioni tutti quelli che vogliono avvicinarsi all’alpinismo in modo da trasmettere quali sono i valori che i bivacchi e rifugi custodiscono. Qual è il modo corretto di usare queste strutture? Diventare noi stessi i primi custodi dei bivacchi. Custodi e sentinelle di questo patrimonio».
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