Il ricercatore dell’Ogs Fianchini e il nuovo metodo per controllare l’alga nemica di pesci e Posidonia

Il ricercatore dell’Ogs di Trieste ha elaborato una metodologia innovativa per prevedere l’espansione della Caulerpa, specie invasiva di origine australiana che sta rovinando l’ecosistema marino 

Giulia Basso
Marco Fianchini, ricercatore dell’Ogs
Marco Fianchini, ricercatore dell’Ogs

Un’alga verde che trasforma la carne dei pesci in “pietra”, rendendoli immangiabili. È l’effetto più evidente della Caulerpa cylindracea, specie invasiva australiana che da anni sta colonizzando il Mediterraneo, con conseguenze devastanti per l’ecosistema.

Entrando in competizione diretta con le praterie di Posidonia oceanica – i “polmoni del mare”quest’alga produce caulerpina, un alcaloide che altera la muscolatura dei pesci che se ne nutrono, come i saraghi. Fenomeno già documentato nel centro Italia che potrebbe presto manifestarsi anche nell’Adriatico.

Marco Fianchini, ricercatore dell’Ogs, ha sviluppato nella tesi di dottorato una metodologia innovativa per prevedere l’espansione di questa minaccia verde.

Lo studio, pubblicato su Ecological Solutions and Evidence e finanziato dal National Biodiversity Future Center, aggiorna le previsioni: la Caulerpa sfrutta il traffico navale come taxi per la sua espansione, concentrandosi lungo le coste urbanizzate.

Ma perché, esattamente, i saraghi diventano “immangiabili”? «La carne del sarago diventa dura perché il pesce ingerisce, direttamente o indirettamente, una sostanza prodotta dalla Caulerpa, la caulerpina, che altera i tessuti a livello cellulare – spiega Fianchini –. Il problema si manifesta solo dopo la cottura. È un fenomeno già osservato nei pescati del centro Italia. Ma c’è anche un aspetto positivo: la caulerpina è studiata per lo sviluppo di potenziali farmaci».

«Quanto alle altre conseguenze per l’ecosistema marino, la Caulerpa è una minaccia per le praterie di Posidonia – conferma il ricercatore –. È molto più resistente all’inquinamento e cresce più velocemente, escludendo la Posidonia. Fino a qualche anno fa abbiamo osservato una netta depressione sia della Posidonia che della Cymodocea nodosa, altra pianta fondamentale per la biodiversità adriatica. Fortunatamente, i recenti progetti di ripristino ambientale mostrano segnali di ripresa».

Lo studio ribalta le previsioni precedenti sulla diffusione. «I modelli tradizionali indicavano vaste aree offshore come potenzialmente colonizzabili e un’espansione delle aree idonee in futuro – ricorda Fianchini –. La nostra metodologia, basata su MaxEnt, algoritmo che stima la distribuzione delle specie analizzando le preferenze ambientali, suggerisce che la Caulerpa predilige zone costiere prossime agli insediamenti urbani. L’impatto antropico è il facilitatore dell’invasione. Il vettore principale sono le navi, che trasportano la specie attraverso le ancore o le acque di zavorra. Il cambiamento climatico pesa meno, però altera le barriere ecologiche: nel Nord Adriatico il riscaldamento sta portando le temperature nell’intervallo ottimale per la Caulerpa, tra i 12°C e i 26-27°C.

Il granchio blu è un altro invasore. «Per il suo impatto economico ed ecosistemico è certamente un “grande nemico”– puntualizza il ricercatore dell’Ogs –, ma non sappiamo se tra cinque anni avrà invaso l’intero Mediterraneo o se l’ecosistema riuscirà a contenere l’invasione». Infine, come può contribuire la citizen science al monitoraggio? «Il modello fornisce una misura dell’incertezza delle previsioni, indicando zone dove il modello è insicuro. Considerando la vastità del mare e le limitate risorse per monitorarlo, è importante concentrare gli sforzi di campionamento e coinvolgere i cittadini: moltissime le app che consentono di farlo, come Avvistapp, sviluppata da Ogs». —

 

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