I protagonisti di Artigianato Vivo: viaggio nella storia dei mestieri
Cison di Valmarino ospita, fino al 17 agosto, Artigianato Vivo: 190 espositori e artisti, migliaia i visitatori. I protagonisti: «Manualità e arte si fondono, noi viviamo nei nostri oggetti»

Gli artigiani rischiano di scomparire, complice la mancata continuità generazionale e le scoraggianti prospettive future. Cison di Valmarino risponde con una visione differente. L’artigianato non resiste soltanto. L’artigianato è vivo.
E sarebbe riduttivo definirlo solo un’eccezione alla regola dal momento che di richieste di partecipazione alla rassegna ne sono arrivate in abbondanza e da tutta Italia. Quest’anno, i volontari della Pro Loco ne hanno selezionate centonovanta su un totale di quattrocento.
«C’è un ritorno ai vecchi mestieri, alla volontà di creare ed assemblare oggetti con pazienza lenta». Parola di Roberto Fiorin, ideatore assieme all’amico Alfonso Munno di “Artigianato Vivo”.
«Nell’estate del 1979, montammo qualche banchetto in piazza Roma per esporre disegni e creazioni in terracotta e ceramica. Al tempo non avevamo pretese né il sospetto che quella scintilla potesse innescarsi un fuoco inestinguibile», racconta Fiorin, «si accarezzava l’idea di restituire vita e visibilità a movenze antiche di un artigianato che attingeva forza dalla necessità di sopravvivenza e dal quotidiano».
Laboratori a cielo aperto
Anno dopo anno, ogni angolo dell’antico borgo si è lasciato attraversare da questa linfa creativa. I vicoli acciottolati, i cortili nascosti, le scalinate fiorite ospitano un flusso continuo di mani che lavorano sotto gli occhi curiosi dei passanti. Fino a domenica, i maestri escono dai loro laboratori e svelano i segreti dell’antico mestiere.
«La differenza tra un oggetto artigianale e uno prodotto in serie è che nel primo c’è la persona», osserva Fiorin, «quando qualcuno lo riceve in dono, custodisce un frammento della sua anima, della sua dedizione».
Fiorin, originario di Cison, ha scoperto e coltivato l’arte vasaia ad Orvieto. Della mongolfiera, generata da un pugno di argilla, ha fatto il suo simbolo distintivo.
«È un portafortuna che mi accompagna da sempre. Per molto tempo non avevo capito perché mi piacesse così tanto», racconta, «fino a che non realizzato il suo valore simbolico: è l’unico mezzo di trasporto senza timone che per muoversi non deve far altro che dare fiducia al vento e a ciò che ha in serbo. L’uomo è fin troppo imbrigliato nei pensieri, l’augurio è tornare a volare in libertà».
Storie di carta e ricami
C’è chi ha fatto dell’arte manuale il proprio linguaggio. Così è stato per la padovana Valeria De Checchi: da autodidatta ha scoperto l’origami.
«Ogni piega sulla carta rappresenta una prova della vita», spiega, «l’arte manuale è una forma d’espressione libera, slegata da qualsiasi schema imposto». Vecchi spartiti e libri dimenticati si trasformano in gru e gioielli.
«Nella tradizione giapponese, è un simbolo di longevità, felicità e buona sorte», spiega, «si narra viva per mille anni e sia messaggera degli dei».
Ritagli di riviste trovano nuova forma anche nei quadri di Antonio Titton, detto Pisky. «Realizzo le mie opere con la tecnica del decoupage: ritaglio, compongo ed incollo», spiega, «mi affido all’istinto che mi guida alla ricerca di una visione pura e rispettosa dell’altro, inteso come mondo, terreno e astratto che sia».
Le storie passano dalla carta ai fili. Nell’ultima creazione dell’artigiana romana Elisa Catini, “Symbolum 77”, il “Cantico delle Creature” di San Francesco prende corpo nel Tau, nel sole, nel lupo, nella luna e le stelle ricamati su un candido manto di alpaca adagiato su una struttura in ferro battuto.
«L’ho immaginato sospeso sul filo dell’alta tensione», racconta, «su cui si appollaiano un gruppo di uccellini che, però, non vengono folgorati. E l’umanità, allo stesso modo, può trovare salvezza solo se sceglie con convinzione la strada della pace e del bene».
Anche Raffaella De Bortoli, con i suoi filati naturali, tesse trame ogni volta diverse. «Mi affido alle sfumature che creo a mano libera nelle rocche», ammette, «il telaio poi genera combinazioni inaspettate e sorprendenti».
La seconda vita dei materiali
Simona Foglia piega, salda e martella una nuova esistenza per tutti i metalli abbandonati nelle discariche. «Mi lascio ispirare dai materiali che recupero», osserva, «mi capita anche di assemblare oggetti molti diversi tra loro».
Con un po’ di fantasia rubinetti o tubi di rame si trasformano in collane, animali, lampade, soprammobili e candelabri.
«È un processo», aggiunge, «che riporta alla vita ciò che si era ormai arreso alla propria fine». Milena Pelus ha aspettato la pensione per dedicarsi interamente alla lavorazione di antiche assi.
«Le basi delle mie sculture tridimensionali sono tutte di legno spiaggiato», spiega, «recupero il materiale di scarto dei restauri per realizzare composizioni tridimensionali ispirate al mondo animale: pesci, galletti, porcospini».
Le nuove generazioni
«L’interesse per l’artigianato non è scomparso, anzi, tutt’altro», ci tiene a sottolineare la stilista romana Catini che, oltre ad occuparsi della sua attività “Maglia nel Tempo”, è presidente del settore abbigliamento al Cna Federmoda di Arezzo.
«I giovani sentono un forte richiamo verso questi antichi mestieri. Istituti e licei aprono le porte agli artigiani per trasmettere alle nuove generazioni questi preziosi saperi».
Ciò che affascina di più è il processo creativo. «Proprio come sosteneva San Francesco», conclude, «chi lavora con le sue mani è un lavoratore. Chi lavora con le sue mani e la sua testa è un artigiano. Chi lavora con le sue mani e la sua testa ed il suo cuore è un artista».
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