In bicicletta sulle ex ferrovie del Nord Est
I tracciati di ferro tornano a vivere come piste dedicate ai ciclisti. Rete Ferroviaria Italiana ha dedicato a questo patrimonio l’Atlante delle Greenways

Sentieri che corrono tra boschi e campi, oppure lungo viadotti sospesi sull’acqua o attraverso gallerie di pietra dove per decenni è risuonato solo il silenzio di binari in disuso. Tracce di ferro che tornano a vivere come piste ciclabili e cammini, dove la natura ha riconquistato lo spazio e i viaggiatori lo percorrono senza fretta.
Non è solo il fascino delle linee perdute a renderle speciali: il riuso delle infrastrutture ferroviarie rappresenta anche un gesto concreto di sostenibilità ambientale, un modo per restituire al territorio corridoi verdi sicuri, accessibili e capaci di generare nuove economie.

Negli ultimi anni in Italia sono oltre milleduecento i chilometri di tracciati ferroviari che sono stati recuperati e trasformati in greenways: percorsi ciclopedonali che riutilizzano linee dismesse, costruendo una rete diffusa di mobilità lenta. Più di novanta le tratte che sono già attive, dalle montagne alle aree costiere, che attraversano parchi, aree agricole e borghi storici. Un fenomeno in crescita, che unisce turismo, tutela ambientale e rigenerazione urbana. RFI – Rete Ferroviaria Italiana ha dedicato a questo patrimonio l’Atlante delle Greenways su linee FS – Dal disuso al riuso, che documenta oltre cinquecento chilometri di percorsi già trasformati.
Tra le regioni che hanno saputo valorizzare meglio questo patrimonio, ci sono il Veneto e il Friuli Venezia Giulia che offrono alcuni tra gli esempi più significativi, è in queste regioni che la riconversione dei vecchi binari ha saputo raccontare anche nuovi modi per viaggiare e per vivere il paesaggio.

Dal ferro alla natura
Tra le montagne del Friuli, le valli si comprimono tra rocce e corsi d’acqua, e la natura sembra aver riconquistato ogni spazio. È in questo ambiente che la vecchia ferrovia Pontebbana, dismessa, si è trasformata in un asse verde capace di riconnettere paesi e panorami. Le sue tratte friulane costituiscono oggi il cuore della Ciclovia Alpe Adria, itinerario internazionale che da Salisburgo raggiunge il mare di Grado. È qui che si snoda la Moggio–Tarvisio, lunga circa cinquanta chilometri e sviluppata per oltre l’ottanta per cento sul sedime originario. Il percorso segue il corso del Fella, attraversa ventisette gallerie e quasi altrettanti viadotti, e collega piccoli centri come Resiutta, Chiusaforte e Ugovizza.
Le stazioni dismesse ospitano oggi punti di ristoro, strutture ricettive e spazi espositivi: quella di Chiusaforte accoglie un museo che racconta la costruzione della linea e la vita dei ferrovieri. Proseguendo verso nord, il tracciato continua nella Tarvisio–Jesenice, una decina di chilometri che attraversano boschi di abeti e ponti sospesi sull’acqua, in direzione del confine sloveno. La pendenza lieve e la sede ampia consentono un uso ciclabile in estate e lo sci di fondo in inverno, rendendola percorribile tutto l’anno. Le due linee, nate a fine Ottocento per collegare l’Austria all’Adriatico, conservano l’impianto originario di gallerie e viadotti e oggi offrono una prospettiva inedita sulle vallate alpine del Friuli.

Dalle montagne al mare
Dalle Alpi Giulie, dove la Ciclovia Alpe Adria lascia i boschi d’altura e si apre alla pianura, il paesaggio si distende fino alla costa adriatica. È qui che la pista Giordano Cottur, dedicata al campione triestino del ciclismo che si allenava in questi luoghi, ripercorre la ferrovia Trieste–Cosina. Lunga circa dodici chilometri, risale dai quartieri cittadini fino alla Val Rosandra, tra gallerie scavate nella pietra e viadotti che conservano l’impronta dell’ingegneria ottocentesca. Oggi è un itinerario frequentato da ciclisti e camminatori, immerso nel verde del Carso, e prosegue in Slovenia, a confermare la vocazione transfrontaliera di questi luoghi.
Dal verde carsico al mare aperto, il viaggio incontra la Cervignano–Grado, che riconnette la terraferma alla laguna. In meno di dieci chilometri di percorso pianeggiante si attraversano i mosaici di Aquileia, i canali di bonifica e le valli da pesca, fino al pontile di Grado.

L’ex ferrovia, nata per unire la stazione al porto dei traghetti, è oggi un tracciato breve ma significativo: unisce la storia romana, l’acqua e il mare in un unico sguardo. Più a sud nella pianura tra Annone Veneto e Motta di Livenza, un tratto della vecchia ferrovia San Vito–Motta è tornato percorribile. Della linea, lunga in origine circa ventisette chilometri, resta un segmento immerso nel verde, dove le rotaie sono state lasciate in vista come memoria del passato. Il percorso attraversa paesaggi agricoli ordinati e silenziosi, in continuità con la pianura friulana e con la stessa idea di lentezza che accompagna i tracciati verso il mare.
Lungo i fiumi e la storia
Tra il Montello e il Piave, dove la memoria della guerra si è fusa nel paesaggio, corre oggi la Montebelluna–Nervesa, la “Tradotta”, che ricalca per oltre quindici chilometri il tracciato delle ferrovie militari costruite nel 1916 per rifornire il fronte. Il fondo stabilizzato e la sede ampia la rendono accessibile a tutti e lungo la strada caselli restaurati, piccole aree di sosta e resti di binari lasciati a vista restituiscono la misura della memoria.

Oggi l’itinerario si lega ai percorsi naturalistici del Montello e alle strade del vino che seguono il corso del Piave, prolungando un dialogo continuo tra natura e lavoro, storia e bellezza. Più a valle, la Treviso–Ostiglia ne riprende lo spirito e lo amplifica. Pensata negli anni Venti come ferrovia strategica ideata dall'Esercito Italiano, collegava Treviso al Po attraversando il cuore del Veneto, ma ebbe vita travagliata e breve. Oggi il percorso, ormai lungo più di cento chilometri, corre quasi interamente sul sedime originario tra campagne e paesi, scavalcando fiumi su ponti ricostruiti e costeggiando argini alberati, fino a incontrare altri itinerari ciclabili e aree protette.
Dallo scorso agosto, con l’inaugurazione del tratto tra Cologna Veneta e Legnago, la ciclovia si avvicina al completamento previsto per il 2026, realizzando così 110 chilometri di ossatura verde che ridisegna la mobilità lenta nel cuore del Veneto. Perché riappropriarsi di queste storiche linee ferroviarie è un po’ come prendere un treno diverso, che non viaggia sui binari del ferro ma su quelli della sostenibilità e di una nuova idea di paesaggio e di movimento. —
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