Vecchioni omaggia Pasolini per i 50 anni della morte: «Capì che con il Novecento finiva l’Umanesimo»

Il cantautore a Casarsa ha chiuso le celebrazione per la ricorrenza. «Con lui la poesia diventa un atto civile, non un ornamento»

Oscar D’agostino
Roberto Vecchioni a Casarsa per celebrare Pasolini
Roberto Vecchioni a Casarsa per celebrare Pasolini

«Pasolini ha illuminato il Novecento. Aveva sentito con precisione che il mondo stava andando allo sbando, verso un’epoca meccanica e falsa. Capì che con il Novecento finiva l’umanesimo, e che senza umanesimo non c’è più niente». Così il cantautore Roberto Vecchioni, protagonista speciale a Casarsa dell’ultimo evento organizzato dal Centro Studi per commemorare il cinquantenario della tragica scomparsa dello scrittore.

Una serata da sold out in teatro, a chiusura degli appuntamenti friulani, in cui Vecchioni ha ricordato come il poeta «non trovasse compagni intellettuali, eppure li conosceva tutti: era solo perché era unico, non perché fosse isolato”.

E ancora: «Pasolini è stato il poeta della verità, uno che non ha mai avuto paura di pagare per ciò che diceva. In lui la poesia diventa un atto civile: non è ornamento, ma un modo per rischiare la vita».

Secondo Vecchioni, Pasolini «credeva nell’eguaglianza dei diritti e vedeva nella borghesia l’anti-umanità, quel conformismo che chiamiamo sviluppo, ma che non è vero progresso».

Il cantautore ha definito Pasolini «poeta di come dovrebbe essere l’essere umano», aggiungendo che «ci insegna che non saremo mai soli se continueremo a cercare le persone e i valori eterni dell’uomo».

Vecchioni si è anche soffermato sul rapporto del poeta con il Friuli, in particolare con la lingua madre da cui derivava la sua prosa «così chiara, invadente e vera, mentre nell’italiano c’è qualcosa di coercitivo, perché l’italiano – diceva Pasolini – è la lingua del potere. Per questo cercava nel friulano e nei dialetti la voce autentica del popolo, la lingua dell’anima».

Roberto Vecchioni ha concluso leggendo Supplica a mia madre, poesia nella quale, ha detto, «Pasolini confessa che la sua anima è quella di Susanna, è Casarsa: quando ne è lontano gli manca l’anima stessa e per questo il senso di profonda solitudine e la sete di corpi e di fisicità».

Ultimo evento di due giornate ricche di appuntamenti a Casarsa: il Centro Studi Pasolini ha riunito oltre 550 studenti, studiosi, artisti e istituzioni in un percorso che ha voluto “riaccendere la parola di Pasolini come strumento per comprendere il presente”. Domenica dopo la cerimonia in cimitero a Casarsa, dove il poeta riposa accanto alla madre Susanna al Teatro Arrigoni di San Vito al Tagliamento Edoardo Camurri ha portato in scena “Pasolini, parola viva”, un racconto in dialogo con studiosi di Pasolini fra cinema, musica e letteratura che ha restituito la voce e il corpo del poeta.

Lunedì il Teatro Pasolini ha ospitato invece il convegno internazionale “Pasolini e l’immaginario collettivo”, curato da Maura Locantore, con i massimi esperti pasoliniani fra i quali Giulio Ferroni, che hanno discusso del ruolo di Pasolini nella cultura del Novecento e nella formazione dell’immaginario contemporaneo. «Pasolini ci obbliga ancora a pensare – ha detto Locantore – perché la sua parola non è nostalgia, ma visione del futuro».

A concludere il programma la Pasolini High School transfrontaliera, con studenti italiani, sloveni e di altri Paesi europei, ha confermato come l’eredità del poeta resti un ponte oltre ogni confine.

Per Marco Salvadori, presidente del Centro Studi, «questo anniversario non è una chiusura, ma una continuità. Pasolini appartiene a chi rifiuta l’omologazione e cerca un linguaggio vero, umano e libero».

Due giornate che hanno riaffermato Casarsa come cuore pulsante del pensiero pasoliniano: non solo dunque luogo della memoria, ma spazio in cui, come ha ricordato Vecchioni, «possiamo ancora tentare di far rinascere l’umanità che Pasolini vedeva finire». 

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