I magnifici 40 anni di «Top Gun», molto più di un film

A quattro decenni dall’uscita, sino a mercoledì nelle sale una versione restaurata in 4k. Emblema dell’epopea degli anni Ottanta, ha segnato le mode. E lanciato Tom Cruise

Elena Grassi

Con la sua miscela esplosiva di adrenalina, musica imperiale e romanticismo, “Top Gun” rappresenta molto più di un film: è stato uno stile di vita e un emblema dell’epopea degli anni Ottanta. Uscito a gennaio del 1986, per la regia di Tony Scott, si è imposto a livello planetario come un “istant cult”, che ha segnato un’epoca non solo cinematografica, consacrando il protagonista Tom Cruise a icona di Hollywood, ma anche sociale e politica, dalla moda al marketing, dalla trasfigurazione del genere western alla concezione della guerra come spettacolo.

Per celebrarne il quarantennale alle porte, Nexo Studios distribuisce nelle sale italiane da lunedì 6 a mercoledì 8 “Top Gun” in versione restaurata 4k, facendone godere sul grande schermo tutta la potenza visiva e sonora: dalle vertiginose scorribande aree del leggendario pilota Pete “Maverick” Mitchell, alla colonna sonora intramontabile firmata da Giorgio Moroder (i brani “Take My Breath Away” e “Danger Zone”), e da Harold Faltermeyer, che ne ha composto il tema principale.

Oltre la guerra, il piacere

Melodie vigorose, solenni e determinanti nello stemperare a livello emotivo e percettivo l’atmosfera guerrafondaia diffusa dai caccia bombardieri, provocando un senso di straniamento rispetto al valore condiviso del pacifismo, in favore di un seduttivo piacere immaginifico.

I piloti dell’accademia della US Navy Fighter Weapons School, soprannominata “Top Gun” (e istituita peraltro nel 1969 per migliorare l’addestramento militare durante il conflitto in Vietnam), nel film diventano dei cowboy che domano l’impossibile, cavalcando macchine volanti, portate oltre i limiti del mito della frontiera celeste. Un simulato teatro di guerra appare allora ai nostri occhi come una magnificente messa in scena che richiama ritmi, impeti e dinamiche di un videogioco (quelli con le battaglie aree andavano per la maggiore in quel periodo), completamente astratto dal suo fine pragmatico (dopo “Top Gun” l’arruolamento nella marina militare americana ebbe un’impennata).

Tolta la divisa, i personaggi incarnano invece l’istantanea dell’edonismo anni Ottanta, che spinge e flette i muscoli, ovvero quattro maschi adulti, a petto nudo, sudati, durante una partita di beach volley: quello che tutti gli uomini avrebbero voluto essere e che tutte le donne avrebbero voluto avere.

Il brand della politica trumpiana

 

Sul fronte artistico “Top Gun” ha creato Tom Cruise: come attore (portandolo nell’Olimpo dei divi mondiali), come brand (lo star system dei “film con Tom Cruise”), come personaggio di tutti i suoi successivi action movies (il genere più rappresentativo della sua carriera). Che si tratti della spia Ethan Hunt di “Mission Impossible”, o dell’ex poliziotto “Jack Reacher”, o dell’agente pre-criminal di “Minority Report”, il protagonista agisce sempre infrangendo le regole, nel nome di un’intuizione messianica e di un’etica personale, radicata nella piena convinzione di discernere il bene dal male.

Echi che dalla politica reaganiana (risuonati in “Top Gun” dalla celebrazione militare), arrivano fino alla deriva trumpistica del “so io cosa è giusto, al di là della legge”, passando per gli interventi di “esportazione della democrazia” di cui gli USA si sono da sempre autodesignati promotori assoluti. Anche il rapporto sentimentale tra Maverick e la sua istruttrice è stato fondativo dei film successivi, con amori tanto intensi quanto fugaci, legati a un contingente senza futuro. Perché non è la principessa l’oggetto del desiderio dell’eroe e nemmeno lo è lo scopo della missione, che sia disinnescare una bomba, recuperare un tesoro o salvare il pianeta, il fine ultimo dell’agire cruisiano è dimostrare al nemico, agli spettatori, e soprattutto a sé stesso, di essere il migliore.

In Italia

In Italia, vassalla del cinema americano per motivi ideologici, ma soprattutto di botteghino, da ben prima dell’industria culturale importata con il piano Marshall, “Top Gun” ha fatto tendenza.

Non c’era ragazzina che non avesse affisso in camera il poster di Tom Cruise strappato dal centro del teen magazine “Cioè”; non c’era scuola di danza che nel saggio non avesse almeno una coreografia con le musiche del film, il bomber (accompagnato o meno dagli iconici Ray-Ban a goccia) era “il giubbino”, e la moto lo status symbol dell’uomo che non deve chiedere mai.

Ma “Top Gun” ci ha fatto sognare anche per il carisma di Val Kilmer (l’eterno e immeritato “secondo”, Iceman), la bellezza dell’istruttrice Kelly McGillis (benché la sua carriera non sia mai decollata), la simpatia di Anthony Edwards (il copilota Goose, ritrovato anni dopo nella serie “ER medici in prima linea”), e la dolcezza di Meg Rayan (moglie di Goose, che diventerà la protagonista delle romantic comedy anni Novanta). —

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