Marina Abramović, quando energia e dolore diventano azione artistica

A Lubiana le performance più celebri in attesa dell’evento a Venezia dove l’esposizione metterà in dialogo la sua arte con i capolavori dell’arte rinascimentale veneziana, articolandosi sia negli spazi dedicati alle mostre temporanee sia nelle sale della collezione permanente

Franca Marri

A livello internazionale è considerata la “madrina dell’arte performativa” e ancor oggi continua a esplorare i limiti del corpo e della mente nelle sue varie espressioni.

A lei, a Marina Abramović, dal 6 maggio al 19 ottobre 2026, anno in cui compirà ottant’anni, le Gallerie dell’Accademia di Venezia dedicheranno la mostra “Transforming Energy”.

Curata da Shai Baitel, direttore artistico del Modern Art Museum di Shanghai, in stretta collaborazione con l’artista, l’esposizione metterà in dialogo la sua arte con i capolavori dell’arte rinascimentale veneziana, articolandosi sia negli spazi dedicati alle mostre temporanee sia nelle sale della collezione permanente.

Intanto fino al 3 maggio è aperta alla Cukrarna Galerija di Lubiana la grande mostra inaugurata il 30 novembre scorso con il titolo “Art Vital – 12 Years of Ulay / Marina Abramović” che esplora i 12 anni di collaborazione artistica e vita condivisa tra Marina Abramović e Ulay (nome d’arte di Frank Uwe Laysiepen). Curata da Alenka Gregorič e Felicitas Thun-Hohenstein, si concentra sull’approccio “nomade” del loro processo artistico indissolubilmente legato al loro percorso di vita, proponendo le loro azioni artistiche più emblematiche insieme a materiali d’archivio inediti tra cui disegni, fotografie, lettere, diari, registrazioni, tutti compresi tra il 1976 e il 1988.

Si erano incontrati ad Amsterdam quando Marina era già nota come protagonista di performance al limite dell’estremo e Ulay indagava il tema dell’identità attraverso la fotografia. Avevano scoperto di essere nati quello stesso giorno, il 30 novembre: Marina a Belgrado nel 1946, Ulay a Solingen nel 1943.

Qualche mese dopo decidono di andare vivere insieme. Comprano un piccolo furgone Citroën, ex cellulare della polizia francese, e iniziano a girare l’Europa. Insieme stilano il manifesto “Art Vital” che prevede: «Nessuna dimora fissa/Movimento permanente/Contatto diretto/Relazione locale/Autoselezione/ Superare i limiti/Assunzione dei rischi/Nessuna prova/Nessuna fine prefissata/Nessuna replica/Estesa vulnerabilità/Esposizione al caso/Reazioni primarie».

Ad aprire la mostra allestita negli ampi spazi dell’Ex Zuccherificio di Lubiana, dal 2021 uno dei principali centri culturali per l’arte contemporanea della capitale slovena, è il piccolo furgone nero, protagonista di “Relation in Movement” alla Biennale di Parigi del’77. Sono quindi riproposte in video le loro celebri performance nelle quali, attraverso i loro corpi, indagano l’energia, la resistenza, il confine tra sé e l’altro, la vulnerabilità, il dolore, la fiducia.

In “Breathing In, Breathing Out” i due artisti, con le narici chiuse da filtri di sigaretta, premono le loro bocche l’una sull’altra così da respirare l’espirazione dell’altro fino quasi a svenire. In “Rest Energy” lei regge l’arco, lui tiene la freccia puntata al cuore di lei: con i corpi tesi all’indietro rimangono in equilibrio per quattro minuti, guardandosi negli occhi, sentendo i propri battiti, amplificati dai microfoni posizionati all’altezza dei loro cuori.

In “Imponderabilia” sono in piedi, nudi, all’ingresso della Galleria d’arte moderna di Bologna: il pubblico che vuole entrare deve oltrepassare lo stretto spazio tra di loro scegliendo chi dei due affrontare.

Quando verso la fine degli anni Settanta la performance art diventa una moda, Abramović e Ulay scelgono di ritornare alla natura e scelgono il deserto australiano. Lì il caldo insegna loro a rimanere fermi, a non mangiare e ad aprire le loro menti. Da lì nascono le nuove performance dove l’azione è il non agire, lo stare immobili seduti ad un tavolo e guardarsi, senza parlare.

Proposto in forma di installazione in mostra c’è anche il tavolo dorato attorno al quale Ulay e Abramović avevano invitato a sedersi insieme a loro uno sciamano aborigeno australiano e un lama tibetano in “Nightsea Crossing Conjunction”.

A condurre verso il termine della mostra sono due grandi vasi neri, uno opaco l’altro lucido, a rappresentare “The Sun and the Moon”: «Non riuscivamo più ad allestire performance, e così abbiamo creato due vasi, delle dimensioni dei nostri corpi. Uno rifletteva la luce, l’altro l’assorbiva». Durante il periodo trascorso nel deserto australiano avevano progettato di percorrere la Grande Muraglia Cinese ognuno partendo da un’estremità, per poi incontrarsi e sposarsi. C’erano voluti 8 anni per ricevere il permesso per attuare quella che sarebbe stata la loro ultima performance, anni durante i quali la loro relazione entra gradualmente e irrimediabilmente in crisi. La camminata di tre mesi lungo la Grande Muraglia viene documentata in “The Lovers: The Great Wall Walk” dove il loro incontro segnerà la loro separazione.

All’inaugurazione dello scorso 30 novembre, ricordando il compagno di quegli anni scomparso nel 2020, Marina Abramović ha detto: «Ulay era un uomo meraviglioso, carismatico, interessante, sexy e complicatissimo. La nostra vita era un continuo up and down anche con momenti di grande tensione. È solo grazie al perdono che questa mostra è stata resa possibile. Ulay ha trascorso qui i suoi ultimi anni e a Lubiana ha poi trovato la pace: questo era un luogo obbligato per fare questa esposizione». 

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