Lo squalo compie 50 anni: ecco perché si tratta di un film leggendario

Nel 1975 il regista Steven Spielberg realizzò una pellicola che divenne record d’incassi. Previste nuove proiezioni dall’1 al 3 settembre per celebrare la ricorrenza

Gian Paolo Polesini
La locandina di Lo squalo, il film del 1975 diretto da Steven Spielberg
La locandina di Lo squalo, il film del 1975 diretto da Steven Spielberg

Il quindicenne Peter Benchley, durante l’estate del 1955, fu recluso dal padre in una stanza per quattro ore al giorno con una macchina per scrivere sotto il naso.

Quel rigore, mescolato all’idea d’isolamento, modellò il ragazzo alla creatività.

Il trentaquattrenne Peter — laurea ad Harvard ed ex ghostwriter del presidente Lyndon B. Johnson — consegnò a una casa editrice le bozze de Lo squalo un romanzo che sapeva di istinto predatorio, paura primordiale e caos.

Quel racconto poi diventato libro — con un paio di chiari rimandi letterari al “Moby Dick” di Melville e alla crudele lotta hemingwayana fra un marlin e il vecchio pescatore Santiago — restò in classifica per quarantaquattro settimane finché un ventottenne Steven Spielberg se ne innamorò. Pagò 175 mila dollari al suo autore e cominciò a trasformarlo in un film.

Cinquant’anni fa, il 20 giugno 1975 negli Usa e il 19 dicembre in Italia, Lo squalo invase l’America e stava per conquistare l’Europa.

Mezzo secolo dopo ti fa ancora saltare per aria. Davvero. Quando l’oceanologo Matt Hooper (un giovane Richard Dreyfuss) scende negli abissi in cerca di tracce del pescione cattivo e una testa mozzata esce da un buco di una barca affondata, beh, anche nel 2025 cacci un urlo come nel 1975. Se una pellicola promette dopo decenni lo stesso stato d’animo di quando uscì, ciò significa storia del cinema.

Per un paio d’anni, fino alle Guerre stellari del 1977, l’opera spielberghiana stabilì il record d’incasso. E vinse tre Oscar nelle categorie montaggio, suono e colonna sonora di John Williams.

L’anniversario impone tre giorni di proiezioni: dall’1 al 3 settembre i cacciatori di squali dell’isola di Amity nel New England torneranno a illuminare i grandi schermi in tutta Italia.

L’antico e sano scontro uomo-natura evita qualunque brutta figura. La tematica è quotidiana e coinvolge chiunque: bipedi e animali. Usarla a fin di bene cinematografico è un buon affare. Lo intuì Spielberg, che si avvia pian piano verso l’ottantina, dopo aver firmato tre opere fra cui Duel (1971), il primo capolavoro.

Il regista di Cincinnati ha sempre tenuto le distanze da quell’avventura marinara perché accadde di tutto durante le riprese.

«Il prossimo lo girerò sulla terraferma», giurò il cineasta all’ultimo ciak non potendone più di onde e di mareggiate. In realtà Incontri ravvicinati del terzo tipo coinvolgeva di più il cielo, comunque ci siamo capiti.

Ci sembra superfluo ricordarvi la storia, no? Giusto un ripasso, dai, dieci lustri possono creare ruggine e memoria traballante.

Roy Scheider è il capo della polizia Martin Brody, Robert Shaw è il gradasso Quinn e Dreyfuss lo scienziato. Di squali ne furono costruiti tre. Uno pure affondò di brutto e i sommozzatori s’immersero per recuperalo. In alcune riprese ci finivano dentro barche di passaggio e Steven s’infuriava. Per non parlare delle bizze del mare e di altre sfighe sopraggiunte per far spendere migliaia dollari in più ai produttori.

Fidel Castro definì “Lo squalo” come «una metafora sulla corruzione del capitalismo». Mentre certi critici intravidero in quei fotogrammi pieni di suspense «un’allegoria dello scandalo Watergate». Siamo sicuri che non abbiano visto un altro film?

Certa, invece, è la reazione seguita all’uscita mondiale del titolo: prese forma una specie di odio verso chi aveva seminato morte negli abissi — un giovanotto, una giovane ragazza e un bambino fanno da pasto al bestione di otto metri, secondo Quinn — originando guerra agli squali sotto forma di barbari tornei. Non era affatto questa l’intenzione di Peter Benchley, semmai quella di difendere l’ecosistema degli oceani, lui che scrisse molto per il “National Geographic” e per il “Washington Post”.

Curiosità: una delle carcasse del pesce meccanico è appesa all’ingresso di un’officina di auto a San Ferdinando Valley. La lotta finale, sebbene chiunque conosca l’epilogo, tiene botta fotogramma dopo fotogramma, nonostante i mezzi dei Settanta non fossero quelli di oggi. Peter fece pure un cameo nel film: è il reporter sulla spiaggia. Gli abitanti del paese per urlare uscendo dall’acqua guadagnarono 64 dollari a testa.

Scheider ha sicuramente incassato di più, oltre naturalmente alla gloria eterna, ma si è beccato ben diciassette schiaffi dalla mamma del bimbo divorato dallo squalo. Uno soltanto si vede nel film, ma i sedici precedenti non piacquero a Spielberg. 

 

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