Julia Roberts per la prima volta alla Mostra del cinema di Venezia con “After the hunt”
L’attrice arriva al Lido per presentare il film fuori concorso di Guadagnino. Il direttore Barbera: «Il regista mi ha detto che è stata magnifica sul set». La mostruosità sarà uno dei fili conduttori della Mostra, attesa una parata di star

Se lo scorso anno la Mostra del Cinema di Venezia aveva salutato, con un certo sollievo liberatorio, il ritorno dell’eros sul grande schermo e la sessualità declinata nei modi più diversi, quest’anno il direttore Alberto Barbera, nel corso della tradizionale conferenza stampa di presentazione del programma di Venezia 82, ha parlato di mostri.
La mostruosità sarà uno dei fili rossi di questa edizione. Letteralmente, con il nuovo “Frankestein” di Guillermo Del Toro, produzione Netflix che non ha badato a spese per assecondare la fantasia del suo autore (Leone d’oro a Venezia nel 2017 con “La forma dell’acqua”). Ma, soprattutto, metaforicamente.
Il fil rouge dei mostri
I mostri sono i dittatori di ieri e di oggi, da Chausescu a Putin, interpretato da Jude Law che, dopo essere stato Papa per Sorrentino, veste i panni del leader russo nel film in Concorso di Olivier Assayas “The Wizard of the Kremlin”. La mostruosità è nelle guerre che in tanti titoli di questa Mostra faranno da sfondo a storie di resistenza e di sopravvivenza o nella nuova minaccia atomica che Kathryn Bigelow affronta nel suo ultimo film “A House of Dynamite”.
E poi ancora, i fanatismi religiosi, che abbiano le sembianze degli ayatollah iraniani o quelli dei talebani afghani e, infine, la mostruosità più subdola, quella che si nasconde dentro le persone comuni che diventano assassini, come nel film di Leonardo Di Costanzo (Elisa), liberamente ispirato agli studi e alle conversazioni dei criminologi Adolfo Ceretti e Lorenzo Natali nel saggio "Io volevo ucciderla", dalla vicenda autentica di una donna che ha ucciso la sorella maggiore e ne ha bruciato il corpo.
Cinque pellicole italiane in concorso
È solo il primo dei cinque film italiani in Concorso quest’anno. Toccherà a Paolo Sorrentino inaugurare il 27 agosto la Mostra del Cinema con un film (La Grazia) di cui lo stesso Barbera è avaro di anticipazioni: “Posso solo dire – commenta – che Sorrentino torna alle sue origini, rinuncia ai formalismi e ai suoi piani sequenza, per ritrovare un rigore, una compostezza e una asciuttezza che ricorda “Le conseguenze dell’amore”.
Molto atteso anche il nuovo film di Pietro Marcello (Duse) dedicato all’iconica attrice teatrale alla fine della sua leggendaria carriera. Un ritratto originale che è anche un pretesto per ricostruire le dinamiche politiche e sociali di quel periodo.
Un po’ a sorpresa, in competizione ci sarà anche l’ultimo film di Franco Maresco (Un film fatto per bene), quasi un’opera-testamento sulle ossessioni di un autore che ironizza sulla propria inveterata capacità di non portare a termine i propri film e disprezza il cinema italiano di oggi.
Infine, il documentario in bianco e nero di Gianfranco Rosi (altro Leone d’oro per “Sacro Gra”) che in “Sotto le nuvole” osserva Napoli, costruendo un mosaico originalissimo sulla città, ricostruendone l’identità, nel suo passato, nel presente ma anche nel futuro. Il cinema italiano si aggrappa, insomma, ai suoi nomi più importanti e ad alcune eccellenze indiscutibili. Il vero rimpianto, confessa Barbera, è non aver trovato film d’esordio coraggiosi capaci di imporsi.
Eppure, ne sono arrivati più di 170: «Si continua a produrre tantissimo», continua, «a scapito, però, della qualità. Anche se il dato più preoccupante resta quello dei 140 film realizzati quest’anno che non sono mai usciti né al cinema né su piattaforma».
Le star
Grandi nomi italiani (fuori concorso c’è anche il nuovo film americano di Luca Guadagnino – After the Hunt – con Julia Roberts e Andrew Garfield), ma anche grandi autori internazionali. Da Jim Jarmush (Father Mother Sister Brother) a Yorgos Lanthimos (Bugonia), da François Ozon (L’Étranger) a László Nemes (Orpahn). Con loro (e con i nuovi film di Noah Baumbach e di Benny Safdie) sbarcheranno al Lido anche le grandi star.
Perché Venezia, in fondo, è come un whiskey invecchiato (bene): corposo e aromatico con la sua “parte per gli angeli”. Ovvero quella percentuale nel processo di maturazione che evapora nel cielo (come il titolo di un film di Ken Loach). Che assomiglia, un po’, all’ebrezza che si respira sul red carpet, quel delirio alcolico che, quest’anno, accoglierà i già citati Julia Roberts (sarà la sua prima volta alla Mostra) e Jude Law, ma anche George Clooney, Rebecca Ferguson, Oscar Isaac, Jacob Elordi, Christoph Waltz, Adam Driver, Cate Blanchett, Emma Stone, Emily Blunt e Dwayne Johnson.
Con loro e grazie ad un programma di film variegato e coraggioso è possibile – dice il presidente della Biennale Pietrangelo Buttafuoco, citando il fumettista Manuele Fior, autore del manifesto di questa edizione di Venezia - «puntare saldamente i piedi sulle nuvole, perché la Mostra è il luogo dove i sogni possono avverarsi», senza, però dimenticare il potere del cinema di portare conoscenza e, soprattutto, coscienza.
«A noi – continua Buttafuoco – che siamo struzzi con la testa conficcata nella melma dell’indifferenza», appellandosi ai giovani (sempre più numerosi al Lido nonostante il tasto dolente di una ospitalità sempre più costosa e di strutture che non crescono insieme alla Mostra) e alla fede temeraria nell’arte «che porta acqua a chi ha sete, un tetto ha chi ha avuto la casa distrutta e destina la verità a chi ha avuto soltanto menzogna».
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