Fulvio Ervas e la sua Venezia insalvabile: il nuovo libro ha come protagonista una poliziotta
Il giallista, mandato in pensione l'ispettore Stucky, torna in libreria con un'ambientazione provocatoria: una città ribattezzata Pantegania

Se Stucky, consegnato alla serie televisiva e al suo interprete Giuseppe Battiston, è andato letterariamente in pensione, non così Fulvio Ervas (che è anche opinionista dei quotidiani Nem) come giallista. “L’insalvabile” (Marsilio, p. 336, 19 euro), in libreria dal 9 settembre, è il primo episodio di quella che si avvia ad essere una nuova serie, che ha questa volta come protagonista una giovane poliziotta in servizio a Mestre.
“L’insalvabile” del titolo è Venezia. Una scelta forte.
«Sì, è una provocazione, ma anche una constatazione. Amo Venezia, mia madre è di origini veneziane, ho lavorato trent’anni a Mestre. È una città che adoro, anche per motivi ecologici: la laguna è un ecosistema incredibile. Ma quando leggi tutto ciò che si può leggere su Venezia, ti accorgi che è sempre più un contenitore, non una città viva. Il turismo la consuma, la svuota. E poi c’è la questione climatica: il Mose basterà? Non lo sappiamo. Andrea Rinaldo su questo ha scritto un libro bellissimo che mi ha influenzato molto. Alla fine, la vera questione non è la bellezza, ma la cura. Siamo capaci di prenderci cura di Venezia?».

Nel libro diventa addirittura Pantegania.
«C’è un breve racconto paradossale nel libro che la descrive in mano ai topi. Il turismo incontrollato è come un virus che certamente colpisce anche altre città. Ma la differenza è che Venezia si sta svuotando: da 160 mila abitanti a meno di 50 mila. È un’estinzione. Parigi, Londra, Firenze sono bombardate dai turisti, ma restano città. Venezia no. Pantegania è la caricatura di questo degrado, una città invasa da turisti senza rispetto. Chi vuole salvare Venezia deve lottare contro l’insalvabilità. Per fortuna ci sono ancora giovani che lo fanno».
Luana Bertelli è un nuovo personaggio. La rivedremo?
«Mi piacerebbe farne un personaggio seriale, se il libro avrà riscontro. Luana si muove tra Mestre e Marghera, guarda Venezia dalla terraferma. Volevo raccontare la città da un punto di vista diverso. Venezia ha bisogno della terraferma, del suo contesto. E poi volevo una donna. Dopo 18 anni con Stucky, era giusto cambiare. Sono molto colpito dal mondo non maschile: questo mondo maschile con le sue guerre, francamente mi ha stancato».
Luana è più giovane di Stucky. È anche un cambio generazionale?
«Sì, ha una decina d’anni in meno. È nata un po’ per caso in “Come il mare” per affiancare Stucky e mi era piaciuta. Poi una poliziotta reale si è in qualche modo riconosciuta in quel ritratto e abbiamo avuto molti scambi di idee che mi hanno permesso di evolvere il personaggio, anche se io e lei abbiamo visioni diverse. Come personaggio Luana è più diretta, più fisica. Stucky osserva, capisce, non agisce. Lei invece, se serve, tira un pugno. È più aggressiva, perché si confronta con un mondo più aggressivo».
Nel romanzo emerge una contrapposizione tra vecchi e giovani. I primi sembrano rassegnati, i secondi portano speranza.
«Ho visto giovani imprenditori nelle isole che fanno cose bellissime, sostenibili. C’è un movimento giovanile che ha lottato contro le grandi navi, che resiste. Io sogno una Venezia con 10 mila, 20 mila giovani in più. Se fossi al governo, farei di tutto per riportarli. Venezia ha bisogno di uno sguardo giovane, di chi ci prova a salvarla».
Marghera ha nuovamente un ruolo centrale. Sei voluto tornare sul “luogo del delitto”?
«Direi sul luogo della vita. Mio padre era operaio a Porto Marghera, mio fratello ci ha lavorato, tutti i fratelli di mia madre erano nei cantieri navali. La mia famiglia è debitrice a quel mondo. È un mondo scomparso, ma che ha sedimentato qualcosa di importante. Raccontarlo è stato anche un ritorno all’infanzia, alla giovinezza. I cantieri navali sono spettacolari, mi affascinano e potrebbero tornare in futuro. Spero di ambientare lì un’altra storia con Luana Bertelli. Porto Marghera è il lato oscuro di Venezia, quello che avrebbe dovuto salvarla, ma non ci è riuscito».
Hai scelto un giallo “possibile”, un delitto quasi banale, di quelli che leggi nella cronaca.
«Sì, assolutamente. Non riesco a capire i personaggi che uccidono con piani elaborati e complessi, mi sembrano imbecilli. Volevo un giallo dove il morto fosse legato a dinamiche affettive, a interessi economici reali, come quelli del turismo. Un omicidio che può accadere davvero, frutto dell’inciampo, della stupidità. Niente di eclatante. La vera tragedia è vedere morire una città bella come Venezia, senza una sensibilità collettiva che la salvi. La laguna è un ecosistema unico, un gioiello da vivere in modo omeopatico».
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