Fabri Fibra arriva a Majano: «La musica rap è un riferimento per i ragazzi»
Il rapper torna in Friuli il 29 luglio con il suo “Festival Tour”: «La provincia ha idee originali. “Mentre Los Angeles Brucia” nasce dallo scarto tra il mondo che soffre e la nostra routine»

«Ho voluto avere una voce, un ruolo in questo mondo (e nella società, perché il rap è diventato un punto di riferimento per i ragazzi); per me è più di un genere musicale, è un filo che lega tutti i capitoli della mia vita: l’emotività, le amicizie, il lavoro, i soldi».
Fabri Fibra, al secolo Fabrizio Tarducci, nato a Senigallia nel 1976, dal primo album “Turbe Giovanili” del 2002, passando per “Mr. Simpatia”, nonché l’esordio in major “Tradimento”, fino agli ultimi “Caos” e il nuovo, undicesimo disco, “Mentre Los Angeles Brucia” ha contribuito prima a creare e poi a consolidare la scena rap italiana; con il suo “Festival Tour” arriva sul palcoscenico a Majano martedì, 29 luglio, alle 21.30.
Fibra, che pubblico trova a Nord Est?
«Non voglio cadere nel cliché dell’Italia tutta bella ma in effetti poter visitare luoghi che il mondo ci invidia è un privilegio e ovviamente quando parlo, parlo anche del Friuli. Spero di ritrovare in questa data lo stesso pubblico, accogliente e partecipativo, che avevo incontrato durante il tour di “Caos”. Fino ad ora è andata così e sono sicuro che Majano non sarà da meno. Come per ogni data, ho già la maglietta ad hoc pronta: “Mente Majano Brucia”».
La attrae la “periferia dell’impero”?
«Nonostante io viva a Milano da anni, perché è la capitale delle etichette discografiche e del lavoro con la musica, mi ha sempre interessato il suono e l’attitudine delle persone lontane dai centri dell’industria, perché lì ci sono le idee originali e personalità diverse, altrimenti nelle grandi città è facile finire nell’omologazione. E io che vengo dalla provincia mi sono sempre trovato bene con chi è lontano dai centri del business della musica, avendo l’impressione di parlare la stessa lingua».
Non tutto ruota attorno alle metropoli?
«Assolutamente. Negli anni in cui ho cominciato, e fino a quando il rap italiano non è esploso, per trovarlo dovevi andartelo a cercare: prendere il treno, viaggiare per ore, dormire magari in piccoli hotel sperduti, spinto dalla passione. È un po’ quello che stiamo facendo con “Nuova Scena” su Netflix: andare a scovare il rap anche in luoghi meno scontati».
Cosa racchiude il titolo “Mentre Los Angeles Brucia”?
«Un giorno accendo la tv e vengo investito dalle notizie da Los Angeles e dalla voce di un servizio al tg che dice: “Mentre Los Angeles Brucia è morto David Lynch”. Mi sono reso conto di quanto le nostre vite siano ciniche ed egoriferite al punto che anche mentre una città brucia, un paese viene bombardato o si combatte una guerra in un posto lontano da noi nel mondo, noi continuiamo ad andare avanti con la nostra solita vita, abitudinaria e al sicuro».
“Il telefono ci ha reso tutti pazzi”?
«“Tutti Pazzi” mi ha dato modo di raccontare la nostra dipendenza e il condizionamento da tecnologie e social: un tema che coinvolge davvero tutti, indipendentemente dall’età».
Ciò può interferire con la concentrazione. Lei come tiene allenata la memoria?
«Gran parte del mio lavoro si basa su un allenamento costante, sia nella fase creativa che in quella di preparazione ai live. È come andare in palestra. Quando inizio a scrivere nuova musica passo moltissimo tempo in studio: parto sempre dalle strumentali e scrivo per giornate e nottate intere. Prima di partire per un tour mi preparo con ore e ore di prove, e continuo poi a esercitarmi quotidianamente anche mentre sono in giro. Durante i miei live non utilizzo il “gobbo”, non mi faccio aiutare da uno schermo per i testi. Tutto quello che vedete sul palco è a memoria».
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