A Venezia nella stanza della Duse

Alla Fondazione Cini di Venezia esposte lettere, documenti e carteggi che raccontano la vicenda artistica e umana dell’attrice e il suo rapporto con gli intellettuali dell’epoca

 

Costanza Valdina
Eleonora Duse
Eleonora Duse

Chiuso il sipario e tolta la maschera, l’attore torna a essere protagonista della sua vita. Al pubblico rimane l’enigma irrisolto di quale sia la sua vera identità. Nel caso di Eleonora Duse, c’è chi ha avuto il privilegio di decifrarne qualche frammento.

L’apertura del suo archivio, custodito in parte alla Fondazione Giorgio Cini sull’isola veneziana di San Giorgio, offre al pubblico proprio questa possibilità: immergersi in un mondo di lettere, fotografie, copioni annotati, libri e oggetti che raccontano aspetti inediti e privati, rimasti lontani dalle luci del palcoscenico. Una stanza che garantisce l’eternità all’attrice e alla donna, ma anche alla sua arte destinata puntualmente a consumarsi nell’ultimo atto del dramma.

L’allestimento della stanza

A riallestirla e restituirle nuova vita ci ha pensato Marianna Zannoni, la responsabile scientifica dell’Istituto per il Teatro e il Melodramma della Fondazione Giorgio Cini. «L’archivio giunge a Venezia per volontà della nipote Sister Mary Mark, al secolo Eleonora Ilaria Bullough, nel 1968, poco dopo la scomparsa del fratello, Halley Edward, poi Father Sebastian, con il quale aveva condiviso la scelta», racconta, «nel novembre del 1963 l’accordo è chiuso: gli abiti, gli oggetti e i copioni saranno donati alla Fondazione Giorgio Cini poiché, come sottolinea Father Sebastian, non poteva esserci miglior collocamento».

L’amore della Duse per la Serenissima non è mai stato un segreto. «All’ultimo piano di un vecchio palazzo, sotto i tetti, con una grande finestra ogivale che domina su tutta la città» era riuscita a costruirsi un rifugio in grado di restituirle «tanta pace nell’anima». La stessa pace a cui è stato affidato parte del suo archivio, svelato per la prima volta al pubblico nel 2011.

Fino al 6 gennaio

Fino al 6 gennaio, la stanza Duse apre i battenti in una veste rinnovata. Questa volta, nelle teche, la Divina prende forma attraverso le parole degli altri: amici, artisti, intellettuali. Una coralità di voci, spesso lontane tra loro, ma concordi nell’attribuirle un’aura quasi sacrale. Zannoni ne ha raccolte cento nel volume “Illustre Signora Duse”, edito da Marsilio. «Si svela attraverso le parole degli altri», spiega, «di tutti coloro che con lei vissero una sorta di comunione spirituale, condividendo uno stesso modo di intendere l’arte e la vita».

Nella trepidante attesa di Luigi Pirandello che le si rivolge nella speranza che voglia mettere in scena il suo “La vita che ti diedi” composto «con religioso amore, tutto inteso a raccogliere e contenere nelle parole di questa madre quelle vibrazioni che solo la Sua arte sa e può destare in chi veramente sia capace di soffrirne e di goderne, quasi divinamente».

Nella gratitudine del premio Nobel per la letteratura Grazia Deledda per aver fatto della sua “Cenere” «una cosa bella e viva».

Nella riconoscenza dello stilista Jean Philippe Worth che oltre all’arte del tessuto, grazie al suo incoraggiamento, si cimenta nella drammaturgia. «Chère Grande Lei», confessa, «mi fate l’onore e l’amicizia nel dirmi che sono capace di un simile gesto e non vi nascondo che ne traggo una grande vanità».

Nell’affetto della scrittrice Sibilla Aleramo, che si commuove nel riferirle l’ammirazione suscitata nel regista russo Konstantin Sergeevič Stanislavskij, al solo ricordo di averla vista sul palco. «S’è illuminato in viso meravigliosamente», le racconta.

Nella meraviglia di Mary Pickford, stella promessa del cinema statunitense, che non riesce a trattenere l’emozione di vederla recitare. Nella speranza del giovane soldato Luciano Nicastro che nello scambio epistolare dal fronte scopre un balsamo alle proprie sofferenze. «Sono le tue parole mamma, che mi danno ragione, e mi rendono più libero!».

Eleonora Duse
Eleonora Duse

Nel sentimento ardente del Vate. «Poiché tu sei la sola rivelatrice degna di un grande poeta, e poiché io sono un grande poeta», le confessa, «è necessario – dinanzi alle sacre leggi dello Spirito – che tu dia la tua forza alla mia forza – tu, Eleonora Duse, a me, Gabriele d’Annunzio». Non stupisce affatto la venerazione cristallizzata nell’inchiostro dei carteggi. Perché, come osserva Piero Gobetti, «Eleonora Duse rappresenta un fatto singolo in tutta l’attività del mondo moderno, che pur inquadrato nella storia dell’ultimo ’800 e del primo ’900, ne balza fuori con una selvaggia originalità di primitivo che non conosce leggi, che non interpreta, ma dice vibrazioni sue ed opera per esse». —

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