Leggere cambia tutto
Dell’Acqua presenta a Padova una collana di classici in forma rinnovata: «Non chiamiamoli pilastri della letteratura. Sono libri per indagare l’esistenza»

Per Italo Calvino «si dicono classici quei libri che costituiscono una ricchezza per chi li ha letti e amati, ma costituiscono una ricchezza non minore per chi si riserba la fortuna di leggerli per la prima volta nelle condizioni migliori per gustarli».
La nuova collana di Roi Edizioni “I Classici”, a cura della docente di greco e latino al Collegio San Carlo di Milano Cristina Dell’Acqua, offre l’occasione per assaporarli in una forma rinnovata. Più che pilastri della letteratura classica, si presentano come piccoli manuali di sopravvivenza emotiva.
La traduzione di Alessandro Benzi trasforma il De vita beata di Seneca in Come vivere felici, Silvia Perucca propone il De amicitia di Cicerone come Il valore dell’amicizia, Roberta Sevieri presenta i Remedia amoris di Ovidio con il titolo Come guarire dalle pene d’amore, Marzia Mortarino riscopre Plutarco con Come rispettare gli animali. «Queste pagine», sottolinea Dell’Acqua, «nutrono la nostra anima con sorsi di bellezza». Ma possono anche cambiare il nostro futuro? Un interrogativo a cui Dell’Acqua ha risposto a Villa Cesarotti di Padova per la rassegna “Una selva di libri d’estate nel parco”.
Cosa suggerisce a chi ha paura di avvicinarsi ai classici?
«Piuttosto che classici, inizierei a chiamarli semplicemente libri. L’intento di questa collana è proprio restituirli ai lettori nella loro forma più autentica. Presentarli non come opere di studio, ma scrigni di pensiero da sottolineare, rileggere e tenere sul comodino. Questa collana ha un intento di auto aiuto: le intuizioni di Seneca, Cicerone, Ovidio e Plutarco sono spunti preziosi per invogliarci a porci più domande e confrontarci con noi stessi in una sorta di esercizio quotidiano. Ognuno, poi, risponderà come può, ma senza limitarsi all’idea che sopravviviamo e basta. Leggere autori classici non è utile solo a filologi o studiosi, ma a chiunque sia in cerca di strumenti per indagare la propria esistenza. Per ottenerli c’è bisogno di una traduzione che sappia parlarci con un linguaggio accessibile ed attuale».
Carlos Ruiz Zafón scrive che «non esistono lingue morte, ma solo cervelli in letargo». Come si può superare il tradizionale dualismo tra lingue morte e vive?
«Durante i miei anni di formazione alla Università Statale di Milano, i professori ci hanno sempre insegnato che il valore del greco e del latino non risiede nel fatto che non siano più parlati, ma nel loro potere di trasformarci in cittadini del mondo. Molti meccanismi delle lingue classiche sono alla base di quelle moderne. L’inglese, ad esempio, è profondamente modellato sul latino. Non sono lingue vive né morte: sono perenni. Per di più, l’idea di morte è del tutto inappropriata. Pensiamo al lutto. Secondo questo ragionamento, una persona perderebbe il suo valore dal momento della sua scomparsa».

Calvino sosteneva che «un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire». Cosa ci raccontano oggi i primi quattro libri della sua collana?
«Chi ha studiato greco e latino al liceo forse ritroverà un amore di gioventù che, dopo molti anni, si lascia rileggere con occhi nuovi. Chi non li ha ancora conosciuti potrà beneficiare di preziose intuizioni. Lavorare su Seneca, ad esempio, mi ha portata a rivalutare il concetto di benessere e scinderlo in due parti, “bene” ed “essere”. Un approccio che non suggerisce di rinunciare ai beni materiali, quanto di liberarsene interiormente: poterli vedere, usare, apprezzare, senza diventarne schiavi. È un invito a sgomberare la mente da quel senso di colpa legato all’ambizione o al desiderio, come se cercare qualcosa per sé fosse inevitabilmente segno di infelicità. Non è così. Il problema sorge solo quando sono quei desideri a possedere noi. Rileggere Cicerone, in questa fase storica in cui domina la solitudine, fa riflettere sull’importanza di coltivare i legami anche a costo di rinunciare ad un impegno o ad una distrazione. Una considerazione talmente attuale da essere scelta come seconda prova della maturità».
L’Italia è al terzultimo posto nell’Unione Europea per numero di lettori. C’è una strategia per avvicinare i ragazzi alla lettura? «L’esperienza m’insegna che leggere insieme funziona. Ai miei studenti propongo ogni anno la lettura ad alta voce di una tragedia greca. Il tempo c’è, basta solo volerlo. In classe sono molto rigorosa: si deve creare lo spazio per leggere. Non dobbiamo sottovalutare i ragazzi. L’idea che servano testi facili, brevi, “su misura”, è sbagliata. Le cose belle e profonde piacciono. Certo, magari a casa non leggeranno una tragedia ma, se la scoprono in classe, può innescarsi una scintilla. Più uno sa, più sa di non sapere, più ha voglia di leggere». —
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