Il Mostro di Udine: 13 donne uccise e un colpevole mai trovato

Dal 1971 al 1989 una scia di sangue ha segnato il Friuli. A Lignano un talk con Elena Commessatti e Federica Tosel per riaccendere i riflettori sul caso irrisolto del serial killer friulano

Alessandra Ceschia
Udine. Rassegna Serial killer. Elena Commessatti, Fedra Peruch e Federica Tosel.
Udine. Rassegna Serial killer. Elena Commessatti, Fedra Peruch e Federica Tosel.

Una scia di sangue sbiadita dal tempo. Un cono d’ombra nel quale la storia friulana è precipitata 54 anni fa. Dalla notte del 21 settembre 1971, quando la 35enne Irene Belletti fu pugnalata a morte nella sua auto in viale delle Ferriere a Udine.

Una storia che ha insanguinato il cuore della Patrie fino al 1989, prendendosi le vite di tredici donne. Molte di loro erano sex workers. Forse anche per questo la loro tragica fine e l’uomo che la decretò con una ferocia e una serialità tale da meritarsi a pieno titolo l’epiteto di Mostro di Udine, non si conquistarono le prime pagine dei giornali nazionali o internazionali, come nel caso di altri ben più noti serial killer.

Donne fragili, piegate da una vita complicata, facili da trasformare in bersaglio. E facili da dimenticare.

Non per le loro famiglie, non per chi su quella scia di sangue ha indagato a lungo, non per coloro che rifiutano di relegare a cold case una serie di atrocità riconducibili per molte, anche se non per tutte, a un’unica mano, a un unico volto, mai affiorato dalle nebbie di quelle notti prive di ogni umanità.

Inseguendo quel volto, quelle mani, oggi alle 18.30 al Cubo della cultura in spiaggia a Sabbiadoro fra gli uffici 6 e 7, Lignano noir organizza un talk con Elena Commessatti, autrice di “Agata Est e il Mostro di Udine”, (edizioni Gaspari, 2020) e l’avvocato Federica Tosel, che dialogheranno con il giornalista del Messaggero Veneto Oscar d’Agostino e Cecilia Scerbanenco ripercorrendo i capitoli di quella terribile vicenda.

Strangolate, accoltellate, bruciate, oltraggiate, come se chi le ha colpite volesse strapparne la dignità e l’essenza, oltre che la vita. Quattro, forse cinque, le vittime assassinate con certezza da una medesima mano e con la stessa modalità: uno squarcio sul ventre, a forma di “esse”, simile a un taglio cesareo.

Il mostro di Udine è ancora un cold case
La redazione

Per gli altri casi, l’attribuzione è stata molto più difficoltosa, anche perché in quel periodo in Friuli il fenomeno della prostituzione era particolarmente diffuso a causa delle numerose caserme militari disseminate sul territorio, inoltre alcune vittime erano presumibilmente diventate bersaglio delle stesse organizzazioni criminali che le sfruttavano.

A un anno dall’assassinio di Irene Belletti fu strangolata Elsa Moruzzi. Eugenia Tilling fu accoltellata nel 1975. Dieci mesi dopo toccò a Maria Luisa Bernardo. Nel 1979 morì Jaqueline Brechbullher. Il 19 febbraio 1980, alla periferia di Udine, fu trovato il corpo di Maria Carla Bellone. Il mostro di Udine aveva lasciato una firma, un’incisione dall’addome al pube, eseguita con una lama molto affilata, forse un bisturi.

Lo avrebbe fatto con altre tre vittime. Dal 1980 iniziò un’altra sequenza di omicidi. Su alcuni corpi venne trovata l’incisione, su altri no. A marzo venne ritrovato il cadavere carbonizzato di Wilma Ghin. L’incisione ricomparve sul corpo della 22enne Luana Gianporcaro, uccisa nel 1983, ma non fu riscontrata in Maria Bucovaz, Matilde Zanette e Stojanka Joksimovic, assassinate l’anno dopo. Altre due vittime sarebbero state “marchiate”: Aurelia Januschewitz, morta nel 1985 e Marina Lepre, 40 anni, una maestra elementare. Fu uccisa il 26 febbraio 1989 e il suo corpo fu trovato nel greto del Torre. Aveva una figlia di 9 anni, che ha fatto riaprire il caso per due volte, seguite da altrettante archiviazioni.

Nel 1995 il medico legale Carlo Moreschi, analizzando le relazioni autoptiche relative agli omicidi di Maria Carla Bellone, Luana Giamporcaro, Aurelia Januschewitz e Marina Lepre, elaborò un dossier attraverso il quale emerse che quelle morti erano inequivocabilmente opera di un unico autore.

Due degli omicidi furono invece ricondotti ad altri responsabili.

Il profilo dell’assassino rimandava a un uomo spinto da una forte volontà omicidiaria, la sua mano ferma muoveva un coltello o comunque un attrezzo dalla lama molto affilata straziando l’addome di quei corpi inermi con precisione tale da far ritenere che si trattasse di una persona che aveva cognizioni in campo medico.

Due giorni dopo l’omicidio di Marina Lepre, un laureato in Medicina e specializzato in Ginecologia fu sorpreso sul greto del torrente Torre, appartato luogo del delitto, intento a pregare. Interrogato dai carabinieri, fornì versioni per nulla convincenti. Divenne presto il sospettato numero uno. Era un uomo affetto da schizofrenia, ex paziente in clinica, era stato anche visto mimare un’operazione chirurgica sul greto di un altro corso d’acqua. Morì agli inizi del Duemila, senza essere sottoposto ad alcun processo, perché reali prove contro di lui non ci sono mai state, portando con sè tutto ciò che sapeva, o tutto ciò che ignorava, sulle vittime del Mostro di Udine. Così ancora oggi, nel 2025, si continua a cercare.

La mancanza di tecnologie avanzate, ma non solo, ha compromesso il percorso di identificazione del colpevole.

Nel corso degli anni, le indagini si sono evolute, ma la sedie di delitti resta tuttora senza un vero colpevole. Nonostante vari sospettati, il “Mostro di Udine” è un mistero irrisolto, e la sua identità rimasta fuori dalle aule dei tribunali, alimenta teorie e speculazioni. Questa vicenda è ancora al centro di discussioni e rimane uno degli episodi di cronaca nera più contorti.

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