Cinema al cento per 100, ecco le nostre recensioni dei film in sala dal 30 aprile

Steven Soderbergh è una garanzia: “Black bag – Doppio gioco” è la spy story “senza azione” che non ti aspetti, con Michael Fassbender e Cate Blanchett. Il cinema italiano risponde con il dramma familiare “Storia di una notte” di Paolo Costella con Battiston e Foglietta e con la commedia sociale firmata da Giorgia Farina “Ho visto un re”

Marco Contino e Michele Gottardi
Il film “Black Bag – Doppio gioco”
Il film “Black Bag – Doppio gioco”

“Black Bag – Doppio gioco” dimostra, una volta ancora, l’unicità dello sguardo di Steven Soderbergh che “smonta” il genere spionistico attraverso la parola e una storia d’amore non convenzionale. Raffinato e rigoroso, non perde un colpo in tensione. Da vedere assolutamente.

Giuseppe Battiston e Anna Foglietta sono i protagonisti di “Storia di una notte” di Paolo Costella, un dramma “congelato” sulla elaborazione del più atroce tra i lutti.

Giorgia Farina con “Ho visto un re” usa i toni della favola per raccontare fascismo, violenza e xenofobia, per un apologo che guarda, ovviamente, all’oggi.

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Black bag – Doppio gioco

Regia: Steven Soderbergh

Cast: Michael Fassbender, Cate Blanchett, Marisa Arabela, Tom Burke, Naomie Harris, Regé-Jean page

Durata: 93’

Il film “Black Bag – Doppio gioco”
Il film “Black Bag – Doppio gioco”

Una spy story senza azione ma anche, e soprattutto, una storia d’amore non convenzionale che affonda le proprie radici nella più iconica letteratura di genere (da Ian Fleming a John le Carré), ma anche nel cinema classico (da Hitchcock a 007), per crescere, in modo più selvaggio e originale, sotto le cure attente, rapide e rigorose di un regista come Steven Soderbergh e di uno sceneggiatore come David Koepp.

Che, in “Black Bag – Doppio gioco”, pescano a piene mani anche dalle atmosfere paranoiche dei film anni ’70 di Alan J. Pakula, aggiornandole all’oggi, tra pirateria informatica, criptaggi, software capaci di sterminare migliaia di persone e satelliti che osservano ogni angolo del Pianeta.

Ma Soderbergh non è un regista banale, né lo è mai stato. Sperimentatore attento, capace di combinare autorialità e intrattenimento attraverso una sintesi sempre molto personale, quasi come un malware che destruttura i generi dall’interno, qui rovescia i canoni dello spionaggio per raccontare come una relazione tra agenti segreti britannici possa sopravvivere in quel mondo di 007 che vive sul filo di una domanda che suona, più o meno, così: “Quando puoi mentire su tutto, come fai a dire la verità su qualsiasi cosa?”.

Soderbergh, con un piano sequenza iniziale dal sapore quasi depalmiano, immerge subito lo spettatore nell’azione che, in realtà, si farà prestissimo parola. L’agente d'élite George Woodhouse (Michael Fassbender in una strepitosa performance di minimalismo d’acciaio), viene incaricato di scovare una “talpa” che ha sottratto un distruttivo worm informatico conosciuto con il nome in codice di “Severus”.

I sospettati sono cinque colleghi, tutti agenti che lavorano all’interno del National Cyber Security Centre (NCSC) della Gran Bretagna. Tra loro c’è anche la moglie di George, Kathryn (Cate Blanchett, più ambigua che mai), che lo pone di fronte alla prova definitiva: la lealtà verso il suo matrimonio o il suo Paese.

Dopo la magistrale sequenza della cena a casa dei due coniugi in cui i sospettati vengono sottoposti a un primo esame da parte di George (un vero e proprio saggio sulla parola), il film avanza, quasi senza muoversi, per rivelare doppi e tripli giochi all’interno dell’organizzazione, ma soprattutto per concentrarsi sul cuore della narrazione: il rapporto simbiotico, quasi devozionale, tra lui e lei che illumina la scena anche quando è fuori campo e che, sotto gli occhi dello spettatore, diventa la forza motrice di un film in cui, alla fine, menzogne, tradimenti e segreti (le “black bag” del titolo) trovano la loro sublimazione in qualcosa di più grande e intoccabile di cui George e Kathryn sono gelosi custodi e sacerdoti.

L’operazione di Soderbergh è raffinatissima, senza mai mostrare la benché minima aritmia, condensando in un’ora e mezza di autentico spettacolo una storia mutevole e cangiante, osservata dallo sguardo fluido e denso della macchina da presa, tra gli interni caldi e protetti della casa di George (che si chiama Woodhouse non per caso: ma tutti i nomi hanno un preciso significato come il titolo del film – Dark Windows – riportato sul biglietto del cinema che avvia l’indagine) e gli uffici del NCSC, fatti di vetrate e ambienti immacolati e ieratici.

Un cinema rigoroso che segue i binari classici ma che, all’occorrenza, deraglia; prevedibile e, insieme, spiazzante; in cui il dettaglio si fa misura ma, allo stesso tempo, mostra l’infinita distanza con ossessioni e passioni più astratti e inafferrabili. Tutto e il contrario di tutto, in questa spy story d’amore che conferma l’intelligenza di un autore unico come Steven Soderbergh. (Marco Contino)

Voto: 8

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Storia di una notte

Regia: Paolo Costella

Cast: Giuseppe Battiston, Anna Foglietta, Massimiliano Caiazzo, Biagio Venditti, Giulietta Rebeggiani

Durata: 90’

Il film "Storia di una notte"
Il film "Storia di una notte"

La famiglia di Piero (Giuseppe Battiston) ed Elisabetta (Anna Foglietta), tre figli, è una di quelle che si accoccola ancora sul divano davanti alla televisione. Quei momenti, però, restano congelati per sempre dopo la morte del primogenito in un incidente stradale.

Anni dopo, Piero ed Elisabetta, ormai separati da quel dolore insopportabile, si ritrovano a Cortina per la Vigilia di Natale, ma un incidente sugli sci di uno dei due figli li costringe a confrontarsi con il trauma del passato durante una interminabile e sofferta notte in ospedale.

Ispirandosi al romanzo “Nelle migliori famiglie” di Angelo Mellone, Paolo Costella racconta - in “Storia di una notte” - gli avvitamenti familiari quando il più atroce tra i lutti, ovvero la perdita di un figlio, rimescola le carte della vita.

L’ambientazione invernale (il film è stato girato a Cortina, grazie anche al finanziamento della Regione Veneto e al sostegno della Film Commission) nel tempo sospeso di una sala d’attesa, crea un effetto straniante che, se da un lato, evita la deriva ricattatoria restituendo il vuoto dell’incomunicabilità, dall’altro, congela il film in una dimensione troppo lontana, amplificando la distanza emotiva con lo spettatore. Che non riesce mai davvero a entrare in quel microcosmo familiare, né a condividerne la sofferenza e il riscatto. (Marco Contino)

Voto: 5

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Ho visto un re

Regia: Giorgia Farina

Cast: Edoardo Pesce, Sara Serraiocco, Marco Fiore, Gabriel Gougsa, Blu Yoshimi

Durata: 100’

Il film "Ho visto un re"
Il film "Ho visto un re"

“Ho visto un re” è stato un celebre hit di Enzo Jannacci (e Dario Fo, 1968) che raccoglieva un canto popolare dell’Amiata, denso di significati provocatori e paradossali. Oggi è anche il titolo di un film di Giorgia Farina (“Amiche da morire”, “Guida romantica a posti perduti”), che senza avere la forza dirompente di Jannacci, tuttavia usando il tono della favola e della commedia “ridendo, castigat mores”.

In realtà, a pensarci bene, c’è poco da ridere nella storia narrata, ma l’apologo guarda all’oggi e per questo giustifica ingenuità e speranza.

Italia, 1936, il Duce proclama che anche l’Italia avrà il suo impero. In realtà la guerra d’Etiopia non è ancora finita e per piegare la resistenza si fanno prigionieri illustri, come il principe Abraham Imirrù, figlio di un ras etiope. Il povero giovane finisce deportato nell’agro romano, nella voliera del giardino del podestà locale. Il punto di vista della storia, che pur essa ha qualche elemento grottesco, è quello del bambino, figlio del podestà.

Emilio è pieno di immaginazione, che i libri di un altro Emilio, Salgari, accentuano a dismisura, soprattutto grazie all’identificazione con Sandokan e i pirati della Malesia. Tutto è filtrato attraverso le loro avventure e quindi l’arrivo del ras etiope risveglia nuove fantasie in Emilio, che fraternizza immediatamente con Abraham, in modo non propriamente italico e fascista.

Attenta al ruolo delle donne, come nei precedenti film, Farina dilata i personaggi maschili al limite della macchietta, con toni un po’ troppo farseschi e qualche ingenuo luogo comune, non privo peraltro di rispondenza anche nella realtà contemporanea, ma soprattutto infarcisce il film di tutto e di più: fascismo, omofobia, razzismo. Manca solo l’antisemitismo giusto perché il 1938 deve ancora arrivare.

Il problema è sempre lo stesso, se cioè colpisce di più un film di denuncia o una commedia sociale. Dopo “C’è ancora domani” molti propendono per questo seconda modalità, ma occorre essere coerenti e rigorosi. Altrimenti anche il messaggio civile rischia di affievolirsi: qui la scelta fiabesca mantiene fresco il linguaggio e permette alla narrazione di arrivare in fondo senza troppi affanni (Michele Gottardi).

Voto: 6

 

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