Biennale Architettura: l’intelligenza del mondo ci salverà

Irrompe a Venezia il tema dell’adattamento al nuovo clima. Tanti progetti comunitari, un laboratorio aperto: il riscatto non è individuale. Il curatore Carlo Ratti: «Ridurre il nostro impatto non basta più, dobbiamo ripensare il modo di progettare»

Cristiano Cadoni

Inventeremo ancora un sacco di cose, ma quello che ci serve per fare pace con il nostro pianeta - per adattarci al nuovo clima, ora che il cambiamento non è più un’ipotesi - è già qui, frutto dell’intelligenza in tutte le sue forme: la nostra, certo, che ha millenni di esercizio alle spalle e che si evolve continuamente; quella della natura, che ha ancora segreti da rivelarci; quella artificiale, che apre nuovi orizzonti, più affascinanti che spaventosi. Intelli-gens suona come un gioco di parole, con quel richiamo alla gente, alle persone con un’origine comune.

Biennale Architettura 2025, ecco come pedalare sull'acqua: il video

Non è un gioco, però, la sfida che stiamo affrontando: «Costruire con intelligenza il mondo, ascoltando l’intelligenza del mondo» - dice il presidente della Biennale, Pietrangelo Buttafuoco, sintetizzando in dieci parole il senso di quella «operazione visionaria» voluta da Carlo Ratti, che è la 19a Mostra internazionale di Architettura, che vive i giorni di preapertura e che si offrirà al pubblico da sabato, ai Giardini, all’Arsenale e a Forte Marghera.

Il titolo però è più articolato, così come la Mostra - “Intelligens. Natural. Artificial. Collective” - perché così si affronta la sfida, con tutte queste forme di intelligenza e con uno sforzo collettivo che si può riassumere attraverso un dato: per i 250 progetti ospitati, sono 750 le persone coinvolte.

Ci sono gli architetti di fama, certo, ma più spesso ci sono squadre interdisciplinari in campo, formate da tecnici, ingegneri, biologi, scienziati, filosofi, cuochi, matematici, artisti, poeti, perché tutto il sapere è utile e necessario. E perché la mostra, nei fatti, è un laboratorio, com’è Venezia, città che deve sperimentare per sopravvivere. «L’architettura deve diventare flessibile e dinamica, proprio come il mondo per cui sta progettando», dice il curatore Ratti. «Per decenni abbiamo risposto alla crisi climatica con la mitigazione, progettando per ridurre il nostro impatto. Ora non basta più, il clima è cambiato, bisogna passare all’adattamento».

La Biennale di Architettura ci racconta come ci stiamo muovendo: cosa fanno le 65 nazioni partecipanti (Togo, Azerbaijian, Oman e Qatar sono al debutto), cosa abbiamo imparato dalla natura, cosa abbiamo inventato, a cosa ci serve la tecnologia, quali benefici portano sulla terra le missioni spaziali. E cosa produce lo sforzo collettivo. La Biennale stessa ha stretto connessioni con la Cop30, con il Soft Power Club, con la Baujultur Alliance di Davos. Nessuno si salva da solo, lo sanno tutti ormai.

Il nostro viaggio dentro la Biennale Architettura 2025: ecco il video

Alle Corderie dell’Arsenale, che ieri hanno ospitato la preapertura, la parte internazionale offre un percorso in cinque sezioni che esplora tutte le forme di intelligenza in campo. Mettendo subito i visitatori di fronte a due dati di fatto: il caldo aumenta - e ci sono più di trenta gradi all’ingresso, per effetto dei condizionatori accesi, metafora delle diseguaglianze che il nuovo clima sta evidenziando - e la popolazione mondiale sta diminuendo, come testimonia l’installazione “The other side of the hill”, plastica esibizione di un sistema pronto a crollare, di un futuro che - come racconta l’autore, Mark Wigley - «è pronto a sorprenderci, anche se noi crediamo di poterlo immaginare».

È un viaggio meraviglioso, il percorso delle Corderie. Pieno di sorprese. Ci sono i batteri che mangiano la Co2, le alghe che ci salvano e quelle tossiche che ci minacciano. C’è Kengo Kuma che accoglie i visitatori accanto alla sua opera, un’architettura che asseconda le forme irregolari della natura anziché piegarla (facile a dirsi, vederla fa un altro effetto).

Ci sono rivelazioni ovunque: dell’acqua che scarseggia sono piene le città, gli alberi che si fondono nell’anastomosi ci insegnano che natura e manufatti possono sostenersi a vicenda; da tutto il mondo arrivano esempi di come si può riconvertire l’esistente, per adattarsi al nuovo mondo; le piante possono essere archivi di dati, 215 milioni di Giga in un dna vegetale; le case sostenibili esistono e sono di tanti tipi; con lo sterco degli elefanti si possono costruire edifici bellissimi; il riciclo e il riuso ci salveranno; la cenere degli incendi a Los Angeles è stata usata per realizzare oggetti bellissimi e con ciò che resta di un tifone a Shangai sono state costruite piramidi, ma anche con i mattoni di gusci d’ostrica si possono fare cose incantevoli.

Poi si arriva ai robot, alle missioni dei droni che ci dicono come ricostruire l’Ucraina prendendo i materiali dalle macerie della guerra. Si arriva alle tute degli astronauti che producono acqua, all’orto extraterrestre, alle avventure spaziali che sono conquiste di saperi da utilizzare quaggiù, dove c’è più bisogno. Adesso, con tutta l’intelligenza che abbiamo a disposizione. E che a Venezia si può toccare. —

Riproduzione riservata © il Nord Est