Cinema al cento per cento, le nostre recensioni dei film in sala questa settimana
Arriva in sala il terzo capitolo della che ha cambiato per sempre la storia del cinema: “Avatar - Fuoco e cenere”. Con lui anche il Leone d’oro di Venezia, ““Father Mother Sister Brother” di Jim Jarmush
James Cameron torna su Pandora per l’ennesima battaglia epica tra “uomini del cielo”, i Na’vi e un ferocissimo clan che padroneggia il fuoco. L’assunto ecologista è declinato in una rappresentazione visivamente inarrivabile che porta le sequenze dei combattimenti a livelli mai visti prima d’ora.
La famiglia come “complicazione universale”. Jim Jarmush firma un trittico sulla incomunicabilità tra padri, madri, fratelli e sorelle come da titolo, debitamente “atomizzato” (Father Mother Sister Brother). Malinconico, intimo e geometrico, l’ultimo Leone d’oro di Venezia resta, però, un “figlio minore” di Jarmush il cui cinema resta, comunque, seducente.
AVATAR – FUOCO E CENERE
Regia: James Cameron
Cast: Sam Worthington, Stephen Lang, Zoe Saldana, Oona Chaplin
Durata: 197’
Voto:7
Eccolo l’atteso “Avatar 3” di James Cameron, “Fuoco e cenere”, terzo capitolo della saga in 3D che ha stravolto l’idea stessa della spettacolarità hollywoodiana, con soluzioni visive, estetiche e di armonia iconografica oggi inarrivabili. “Fuoco e cenere” non deluderà la massa degli appassionati seguaci delle vicende degli alieni blu di Jake Sully (Sam Worthington), in lotta con l’umanità feroce e cattiva del colonnello Miles Quaritch (Stephen Lang). L’episodio odierno riporta all’indomani della tragedia del finale di “Avatar 2 – La via dell’acqua”.
La morte del giovane Neteyam pesa sulla famiglia Sully, che lotta con i propri demoni per elaborare il lutto, in particolare la madre Neytiri (Zoe Saldana). Spider, il ragazzo umano adottato dal clan, diventa un rischio al punto che si decide di riportarlo alla base, in sicurezza. Ma il viaggio di ritorno diventerà un rischio enorme, perché sui Na’vi piomba la minaccia rappresentata dai predoni Mangkwan, adoratori del fuoco, guidati dalla sanguinaria Varang (Oona Chaplin) con cui si allea lo stesso colonnello Quaritch.
Ma al di là dell’assunto narrativo del film, che risulta un abile pretesto per elaborare le scene più spettacolari, “Avatar 3” è un susseguirsi di battaglie e di combattimenti, di contrapposizioni etiche e di conflitti generazionali (“questa è la famiglia, non la democrazia”, detta da Sully al figlio ribelle, è una delle battute migliori del film), filtrati attraverso l’occhio ecologista di Cameron, che sottende al trionfo della natura, sempre positiva nonostante l’uomo.
Perché il tema vero del film è la contrapposizione tra “il fuoco dell’odio e le ceneri del dolore” che esso genera, declinato in diverse modalità, ma che esprime il meglio di sé in una serie infinita di battaglie iterate e ripetitive, in cui gli umani si scatenano con armi di distruzione di massa, cui i Na’vi oppongono la forza delle creature naturali che essi cavalcano allegramente, animali acquatici o volatili giganteschi, distruggendo con archi e frecce infuocate, le corazzate, i droni e i mezzi da sbarco.
(Michele Gottardi)
FATHER MOTHER SISTER BROTHER
Regia: Jim Jarmush
Cast: Tom Waits, Adam Driver, Mayim Bialik, Charlotte Rampling, Cate Blanchett, Vicky Krieps, Indya Moore, Luka Sabbat
Durata: 110’
Voto: 6,5
Leone d’oro (un po’ generoso) all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, “Father Mother Sister Brother” mette in scena la famiglia come “complicazione universale”, per usare le stesse parole del suo regista/autore Jim Jarmush.
Tre episodi, ambientati in luoghi lontani tra loro (Stati Uniti nord-orientali, Dublino e Parigi: di qui il carattere planetario della riflessione), che moltiplicano la validità dell’assunto: la famiglia è incomunicabilità; i legami di sangue (con un ammorbidimento nella terza parte) sembrano, per lo più, casuali; nessuno sa niente dell’altro in una atomizzazione dei rapporti che è restituita dal titolo stesso del film.
Nel sillogismo di Jarmush ogni episodio, in fondo, po' essere, indifferentemente, premessa maggiore, minore e conclusione di un ragionamento, che tuttavia, non diventa mai nichilista. Semmai si ferma sempre sulla soglia di una malinconia disfunzionale. Nel primo, due fratelli (Driver e Bialik) fanno visita al padre (Waits) che credono soffra di solitudine e abbia sempre bisogno di un sostegno economico.
Non è così. Nel secondo, due sorelle (Balchett e Krieps) si ritrovano a casa della madre (Rampling) per una tradizionale tazza di tea. Tra convenevoli e segreti, tutte, subito dopo, tornano nell’indifferenza l’una dell’altra. Nel terzo, due fratelli gemelli, femmina e maschio, (Moore e Sabbat) si trovano nell’appartamento dei genitori morti in un incidente aereo, realizzando, attraverso foto e ricordi, quanto poco ne sapessero di loro.
Jarmush sceglie una rappresentazione da camera, intima e geometrica (si vedano le “linee” del secondo episodio con la tavola imbandita), con qualche lampo di poesia e struggimento anche se “Father Mother Sister Brother” è, comunque, per restare nella metafora familiare, un “figlio” minore della sua filmografia.
Attraversata dal surreale (Daunbailò) e dal visionario (Dead Man), dal filosofico (Ghost Dog) e dal lirico (Solo gli amanti sopravvivono), in un equilibro perfetto che qui diventa un po’ maniera, teorema appunto. Anche se quello di Jarmush rimane sempre un cinema seducente.
(Marco Contino)
Riproduzione riservata © il Nord Est








