Il magico 12 maggio del Verona e di Pierino Fanna
Nel 1985 la vittoria dello scudetto. «La nostalgia è tanta, perché sarà impossibile che in futuro questa società possa ripetere la stessa impresa»

Il 12 maggio non sarà mai una data qualsiasi. Per il Verona di Osvaldo Bagnoli, quarant’anni fa, ha significato la realizzazione di un sogno diventato realtà: lo scudetto. Una cavalcata trionfale, resa magica grazie a una squadra che di partita in partita, ha realmente capito che poteva chiudere da vincitrice sotto la bandiera a scacchi. Tanti furono i protagonisti, Briegel ed Eljkaer su tutti, ma anche Pierino Fanna ha meritato d’essere definito come uno degli artefici di un’impresa che a distanza di tantissimi anni, rimane ancora impressa nella mente di tutto il popolo veronese, che ha sempre amato e seguito da vicino le vicende del Hellas. Sette anni dopo il tricolore sfiorato dal Lanerossi Vicenza di Fabbri e Paolo Rossi, il Veneto ha riavuto un’altra squadra, partita senza i favori del pronostico della vigilia, nelle condizioni di provare a scrivere un capitolo importante della storia del calcio italiano. Un Verona che ha avuto il merito di riuscire a mettere dietro le squadre più blasonate, ad iniziare dal Napoli, sconfitto alla prima giornata di campionato, che si ritrovò in rosa uno dei calciatori più forti della storia del calcio mondiale : Diego Armando Maradona.
Fanna, che sensazioni prova dopo quarant’anni ?
«Di tempo ne è passato, ma nei tifosi rivedo la stessa passione, come se lo scudetto fosse stato vinto da pochi giorni. Credo che la nostalgia sia tanta, perché sarà impossibile che in futuro questa società possa ripetere la stessa impresa».
Parla d’impresa: fu veramente cosi ?
«Non sono d’accordo quando qualcuno sostiene che fu un miracolo. Iniziamo la stagione da primi in classifica e ci rimanemmo fino alla fine. Battemmo le squadre più forti del campionato e dimostrammo d’avere una squadra con grandi qualità tecniche e umane. Un progetto tecnico che iniziò a portare i suoi frutti già nelle stagioni precedenti, quando conquistammo un quarto ed un sesto posto e centrammo due finali di Coppa Italia. La vittoria dello scudetto rappresentò la vera ciliegina sulla torta di un percorso straordinario».
Tutto iniziò con il successo contro il Napoli di Maradona al Bentegodi.
«Fu una partita bellissima, che ancora ricordo con grande piacere. Conquistammo una bellissima vittoria, che ci permise d’iniziare benissimo quel campionato e a mandare un segnale importante alla concorrenza. Fui uno dei principali protagonisti di quella giornata, visto che ho battuto il calcio d’angolo dove Briegel realizzò il gol del vantaggio. E la punizione della terza rete realizzata da Di Gennaro. Una sfida che ancora è rimasta nella mente di tutti, perché siamo riusciti a battere e a limitare uno dei calciatori più forti della storia del calcio mondiale».
Quando avete capito che il sogno poteva diventare realtà?
«Il pareggio per 1-1 contro la Juventus a Torino, a mio parere rappresentò il primo e grande momento di svolta di quel campionato straordinario. Una partita in cui abbiamo capito la nostra reale forza e che potevamo giocarcela per lo scudetto fino alla fine».
Le tre partite più belle ?
«Al primo posto colloco la vittoria contro la Juve a Verona, per 2-0 con le reti di Galderisi ed Elkjaer. Continuo a ricordare con grande emozione anche il successo di Udine per 5-3, in cui subimmo la rimonta dopo essersi stati in vantaggio di tre reti, prima di riuscire a realizzare i due gol che ci consentirono di conquistare una vittoria importante. Per chiudere, la partita di Bergamo, contro l’Atalanta, che ci ha permesso d’esultare per la vittoria del campionato davanti a tutti i nostri tifosi».
Briegel ed Ekjaer: quanto incisero sulla conquista dello scudetto?
«Tanto, perché portarono esperienza e mettendo a disposizione sin da subito le loro grandi qualità tecniche, umane e caratteriali. Entrambi s’inserirono in un collettivo collaudato e in uno spogliatoio in cui c’era già una certa disciplina e un rispetto delle regole, che sono state alla base durante la gestione di Bagnoli. Personalmente, rimasi molto stupito vedendoli dal vivo, tanto che appena arrivati a Verona dissi subito: “Con loro due, ci divertiremo sicuramente”. E cosi fu, visto l’epilogo finale».
Citava Osvaldo Bagnoli : quanti meriti ebbe per quella cavalcata straordinaria?
«Parto col dire, che è stato uno scudetto che ho dedicato a lui. Un allenatore dalle grandi qualità umane, che incise molto sull’aspetto tecnico, tattico e preparando ogni partita curando qualunque tipo di dettaglio. Tra i suoi pregi, ci metto anche quello di essere stato un bravo psicologo con tutti i calciatori, disponendo di una personalità spiccata che rappresentò un esempio per tutti noi».
Conquistare lo scudetto con una squadra e in una città mai abituate a questo tipo d’imprese, per lei ha avuto valore uguale o diverso?
«Mi sembra superfluo dire come ogni società abbia la sua storia. Alla Juventus mi trovai in un ambiente già abituato a vincere tanto in Italia e in Europa. La stessa cosa posso tranquillamente affermarla anche nella mia esperienza con l’Inter. Ne ho vinti diversi di scudetti, ma quello di Verona resterà per sempre il più bello».
Il Verona di Bagnoli, il Lanerossi Vicenza di Fabbri : è possibile azzardare un termine di paragone?
«Parliamo sicuramente di due grandissime squadre. Al Lane rispetto al “mio” Verona, mancò probabilmente qualcosa per riuscire a vincere il campionato. Ebbe in un giovane Paolo Rossi il vero trascinatore, grazie alle sue reti che gli fecero vincere la classifica cannonieri e consentirono ai vicentini di tenere vivo il sogno tricolore fino alla fine. Parlavamo di Briegel ed Elkjaer in precedenza, direi che loro due furono coloro che spostarono gli equilibri e che a Fabbri mancarono per realizzare un’impresa che anche per una città come Vicenza sarebbe stato un qualcosa di storico. Tenendo anche conto che il Lanerossi disputò quel campionato di Serie A da neopromosso…».
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