Il ritiro di Elia Viviani: «A Rio il giorno più bello, vincere al Giro non ha eguali»

Intervista al campione che dirà addio a fine ottobre dopo i Mondiali su pista in Cile. «Dalle Olimpiadi al Tour, vi racconto 15 anni di carriera» 

Antonio Simeoli
Elia Viviani
Elia Viviani

Ha vinto, ha combattuto contro Cavendish, Kittel e, 15 anni dopo all’ultima Vuelta, Philpsen. Ha dimostrato, quando nessuno o quasi ci credeva in Italia, che pista e strada possono convivere anzi possono alimentarsi di successi a vicenda. È stato campione del mondo, europeo, portabandiera alle Olimpiadi dove ha vinto un oro, un argento e un bronzo.

Da mercoledì, concluso il Giro del Veneto nella sua Verona, Elia Viviani, 36 anni, non correrà più su strada. Finirà la sua carriera a fine mese ai Mondiali su pista in Cile.

Elia, 10 città della sua carriera. Le piace il gioco?

«Iniziamo da Verona la mia città?».

No, aspetti. Antalya in Tiurchia. Ricorda?

«Tutto. Prima vittoria da pro. Era una tappa al Giro di Turchia, caduta, finisce già anche Greipel, uno degli sprinter più forti, restiamo in piedi io e Giorgio Brambilla, ora volto tv su Gcn: vinco. E chi se la dimentica?».

In maglia Liquigas.

«Bellissima. Era il faro del ciclismo italiano. Con la Lampre facevano passare 8-10 neopro l’anno, così i giovani potevano emergere nel World Tour. C’erano Nibali, Sagan, Basso, Pellizotti, Bennati, Oss, Cimolai...Quanto ci manca in Italia una squadra così. Ora i nostri giovani forti, se va bene, devono andare all’estero».

Ha chiuso nel regno di Pogacar, Van der Poel, Evenepoel e Vingegaard. Nel 2010 chi comandava?

«Contador, anche se ho fatto in tempo a correre il Giro di California con Armstrong. Stava emergendo Nibali».

Londra 2012?

«Le prime Olimpiadi, la medaglia che se ne va nell’Omnium agli ultimi due giri. Esco da quei Giochi abbattuto. Penso a chi me lo faceva fare di sacrificare la strada per la pista...Ma passo al team Sky dove alla pista credono eccome. E inizia tutto».

Se le dico Genova 2015?

«Prima vittoria al Giro, indimenticabile. Greipel, ancora lui, parte lungo, lo passo giusto in tempo. Per un italiano vincere al Giro è il massimo».

E Rio 2016?

«Il giorno più bello della mia carriera. Vinco l’oro nell’Omnium. Ricordo il villaggio olimpico, i pranzi con i miei genitori. Da quella vittoria ho capito di poter fare un salto di qualità anche su strada».

Tel Aviv 2018?

«Vinco al Giro lì e il giorno dopo a Elat. Ricordo la festa di quei giorni in una terra martoriata dalle guerre. Le manifestazioni ProPal alla Vuelta ci hanno fatto capire che lo sport non può essere estraneo a queste cose».

Darfo Boario 2018?

«È il paese nella Val Brembana in cui sono diventato campione d’Italia portando per un anno la maglia più bella di tutte. Ho attaccato in salita: indimenticabile».

Alkmaar 2019?

«In Olanda Vinco gli Europei, Elena (Cecchini, la moglie friulana che corre nella SdWorx ndr) aveva vinto l’argento il giorno prima. Ma mi prendo anche Nancy dove pochi giorni prima avevo vinto una tappa al Tour de France».

Se le dico Tokyo invece?

«Olimpiadi 2021, quelle del Covid, sono il portabandiera dell’Italia, responsabilità e un orgoglio unici. Vinco un bronzo nell’Omnium con i ragazzi del quartetto il giorno prima oro, per cui ho avuto il privilegio di essere un esempio, tutti a bordo pista a fare il tifo per me».

Monaco 2022, una cosa così non l’abbiamo mai vista...

«Ma no dai... Corro all’ultimo momento la gara in linea degli Europei, finisco settimo, sono deluso ma quattro ore dopo corro in pista l’Eliminazione con la maglia di campione del mondo addosso e vinco l’oro».

In quelle quattro ore?

«Un panino alla Nutella».

Gran finale: Verona 2025.

«Mercoledì, Giro del Veneto nella mia Verona, un giorno indimenticabile dalla mattina, quando la mia Lotto mi regala una bici personalizzata e i compagni mi omaggiano. Poi vado in fuga e mi godo il finale di del Toro tra i miei tifosi sulle Torricelle. Quante emozioni».

Elia non le abbiamo messo Parigi, ma forse lì un anno fa...

«No, l’argento olimpico con Simone Consonni, che sarebbe stato oro senza la caduta, non è un rimpianto. Piuttosto rifarei la volata persa alla Gand Wevelgem nel 2018 col mio amico Sagan o quella al Giro 2013 a Napoli con Cavendish».

Lui è stato lo sprinter più forte?

«Sì, anche se Kittel era quello imbattibile. Adesso tifo per Jonathan Milan, anche se Philipsen e Merlir sono fortissimi e il francese Magnier sta facendo faville. Per i velociosti ora è dura, il gruppo fa il diavolo a quattro anche sulle salitelle».

E adesso?

«Resterò nel ciclismo. Intanto proverò a fare il direttore sportivo poi chissà. E continuerò a pedalare, perchè io della bici resto innamorato». 

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