Franco Baresi: «Il Milan? Una seconda famiglia»

L’ex difensore rossonero e della Nazionale ospite a Pieve di Soligo, nel Trevigiano: «Ho giocato con Gianni Rivera. Silvio Berlusconi? Mi diede un Pallone d’oro»

Salima Barzanti
Franco Baresi autografa le maglie ai tifosi rossoneri
Franco Baresi autografa le maglie ai tifosi rossoneri

Il teatro Careni a Pieve di Soligo, nel Trevigiano, si trasforma in uno stadio gremito di tifosi e appassionati di calcio.

Applausi a non finire per Franco Baresi, un calciatore che ha segnato un’epoca, non solo come capitano del Milan per 15 stagioni (20 in totale con il team rossonero) ma anche come capitano della nazionale vicecampione del mondo a Usa 1994, quando rientrò dopo l’infortunio al ginocchio in tempo record per la “maledetta” finale dove prevalse il Brasile di Ronaldo. Anche se per lui la sconfitta che brucia di più è la Champions del 1993 persa contro l’Olympique Marsiglia.

Tanti aneddoti di vita nell’incontro Pieve Incontra andato in scena lunedì sera, moderato dalla giornalista Adriana Rasera. Il campione Baresi, nel corso della serata, ha risposto a molte domande.

Baresi, cosa c’è dietro una carriera di successo come la sua?

«C’è la fortuna, indubbiamente, il talento non basta. È importante non dimenticare mai da dove si arriva, le proprie origini, chi ti ha sostenuto durante il cammino. Ho avuto un’infanzia non facile, ma sono riuscito a trasformare dolore e rabbia in determinazione e caparbietà. Di certo ho avuto anche la fortuna di incontrare le persone giuste nel momento giusto. Persone che mi ha hanno inculcato valori importanti, come educazione e rispetto».

Il Milan, la sua squadra, è stata praticamente una scelta di vita...

«Il Milan è per me una seconda famiglia, un’àncora di salvezza. Quando ero ragazzino sono stati attenti a quello di cui avevo bisogno, l’aspetto umano è fondamentale, perché prima dell’atleta c’è la persona».

San Siro è il suo stadio, si ricorda la sua prima volta nel tempo del calcio milanese?

«Ricordo un’emozione grandissima, pensate che sono passato da un paese di diecimila abitanti alla metropoli che è Milano. Lo stadio l’avevo visto solo in tivù, non avrei mai pensato di giocarci, di diventare quello che sono diventato e di vincere quel che ho vinto».

Il suo esordio avvenne a 17 anni a Verona. Cosa ricorda di quel periodo?

«In particolare ricordo di aver avuto la fortuna di giocare con Gianni Rivera, lui era a fine carriera. Abbiamo giocato insieme solo due anni, ma sono stati anni preziosi, nel quale ho potuto imparare tanto da lui, osservando come si muoveva, come gestiva certe situazioni, la sua eleganza e la sua attenzione per chi giocava meno, per chi stava in panchina, che faticava in allenamento come i titolari».

Lei si è messo al braccio la fascia di capitano a soli 22 anni. Cos’ha provato?

«Non è stato un momento facile, perché andammo in serie B. Ma ho capito strada facendo quanto importante sia fare attenzione al bene della squadra più che al proprio personale, io non parlavo moltissimo, ma ha cercato di dare l'esempio con i fatti».

Si dice che lei sia stato anche il preferito del presidente Silvio Berlusconi...

«È stato un presidente straordinario, per le idee e la capacità di trasmettere a tutto l’ambiente l’innovazione e la sua competenza. C’era un legame speciale, volle regalarmi nella partita d’addio anche un pallone d’oro, quello che non ho mai vinto. Il Milan ritirò inoltre anche la mia maglia numero 6». —

Riproduzione riservata © il Nord Est