Un pesce africano aiuta a comprendere come invecchiano le cellule cerebrali

Un nuovo studio identifica la causa in un “intoppo” a livello dei ribosomi. L’Università di Trieste analizza il turnover proteico nel cervello per rallentarne l’usura

Giulia Basso
Un sub in azione
Un sub in azione

Perdita di memoria, rallentamento cognitivo, difficoltà nell’apprendimento: i segni dell’invecchiamento cerebrale sono universali, ma la loro origine molecolare è ancora un enigma. Decenni di ricerche hanno identificato una moltitudine di processi degenerativi – dalle mutazioni del Dna alle modifiche epigenetiche, dalla ridotta sintesi di Rna all’accumulo di proteine difettose – senza però riuscire a stabilire quale fosse il primum movens di questa cascata distruttiva.

Ora un team internazionale, coordinato dalla Scuola Normale Superiore di Pisa, dall’Istituto Leibniz e dalla Stanford University, ha appena pubblicato su Science risultati che identificano per la prima volta un possibile meccanismo scatenante dell’invecchiamento cerebrale.

l segreto sembra nascondersi nei ribosomi, le strutture cellulari che “leggono” il codice genetico e costruiscono le proteine. Con l’età, questi ribosomi cominciano a “incepparsi”, producendo proteine incomplete e difettose. Questo fenomeno colpisce proprio le proteine necessarie per costruire nuovi ribosomi, creando un circolo vizioso che potrebbe essere la scintilla dell’invecchiamento cerebrale. La ricerca è stata condotta su un piccolo pesce africano, il killifish turchese, che vive meno di un anno ma il cui cervello invecchia seguendo gli stessi meccanismi dell’uomo.

Ne parliamo con Eugenio Fornasiero, ricercatore alla guida del Laboratorio dell’omeostasi sinaptica all’Università di Trieste, che ha contribuito allo studio analizzando il turnover proteico nel cervello.

Dottor Fornasiero, perché pensate che i ribosomi che si inceppano siano la causa primaria dell’invecchiamento cerebrale e non solo un effetto collaterale?

«Noi pensiamo che i ribosomi non siano solo vittime, ma veri e propri “colpevoli” dell’invecchiamento cellulare. Se a bloccarsi sono proprio le proteine che servono a costruire nuovi ribosomi o a riparare il Dna, allora il guasto parte davvero dal cuore della fabbrica. Nel mio laboratorio stiamo cercando di verificarlo: nei mammiferi stiamo introducendo danni mirati ai ribosomi per capire se questo basta, da solo, a far scattare l’intero domino dell’invecchiamento».

Esiste un punto di non ritorno in questo circolo vizioso?

«Probabilmente sì, anche se è difficile da individuare in maniera netta. All’inizio la cellula riesce a “tamponare” qualche intoppo, ma quando troppi ribosomi si inceppano il sistema non ce la fa più a produrne di nuovi e il collasso è inevitabile. Capire quando arriva questo punto critico è una delle grandi domande aperte. Non ci stiamo lavorando solo noi: sono diversi i gruppi di ricerca internazionali che stanno cercando di capire perché la costruzione dei complessi ribosomiali diventi così fragile con l’età».

Perché usare un pesce che vive meno di un anno per studiare l’invecchiamento umano?

«Il killifish africano turchese vive in pozze d’acqua che si seccano in pochi mesi, quindi ha compresso tutto il suo ciclo vitale per riuscire a produrre uova che resistano alla siccità. Per gli scienziati è come avere un “riassunto” dell’invecchiamento. Ovviamente non è una fotocopia del cervello umano: per capire cosa è universale e cosa è specifico della sua biologia dobbiamo confrontare modelli diversi, dal pesce ai mammiferi».

Qual è il legame con malattie come Alzheimer e Parkinson?

«Quando i ribosomi si inceppano, le proteine restano a metà strada: incompiute, instabili e pronte a precipitare in piccoli “aggregati”. Questo assomiglia a quello che vediamo in malattie come Alzheimer e Parkinson. L’invecchiamento aumenta la probabilità che questi difetti si sommino: perciò resta il principale fattore di rischio per le malattie neurodegenerative».

Quali farmaci potrebbero “sbloccare” i ribosomi e cosa possiamo aspettarci?

«L’idea è quasi meccanica: se il motore si inceppa, proviamo a lubrificarlo. Alcuni composti che aiutano i ribosomi a scorrere meglio o a liberarsi quando restano bloccati sono già allo studio. Ma servirà tempo. Non sarà la pillola della giovinezza, ma anche solo rallentare l’usura del cervello e ridurre il rischio di Alzheimer e Parkinson sarebbe già un traguardo enorme».

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