Terapie rigenerative, arriva la svolta per la cura del diabete con le staminali
Dieci pazienti affetti dalla patologia di tipo I sono guariti grazie all’infusione di cellule ottenute in laboratorio. In Italia non sarebbe stato possibile: la ricerca sulle staminali embrionali è vietata dal 2004

Quando avete sentito parlare di cellule staminali per la prima volta? Probabilmente più di 20 anni fa, nei primi dieci anni di questo secolo. Era il momento in cui ne parlavano in molti come la panacea per tutti i mali. Era il momento di Stamina e Vannoni, delle speranze vendute a pazienti disperati, dei viaggi nelle cliniche truffaldine dei Paesi post-sovietici e dei Caraibi.
Era anche il momento in cui c’era una contrapposizione ideologica tra la chiesa, che mai come allora si era intromessa in questioni scientifiche sostenendo (anche economicamente) la ricerca su fantomatiche cellule staminali presenti negli organismi adulti, e la comunità scientifica, che puntava le sue carte sulle cellule staminali derivate dagli embrioni. Me le cellule staminali adulte esistono soltanto per pelle, cornea e sangue, ma non per gli altri organi, mentre lavorare sulle cellule staminali dell’embrione è complicato ed i risultati erano lontani da arrivare. Così l’enfasi sulle cellule staminali si è progressivamente smorzata.
Ma non si è fermata invece la ricerca. E, finalmente, arriva la notizia sul New England Journal of Medicine di quello che forse è il primo successo concreto delle cellule embrionali staminali: 10 pazienti con diabete di tipo I sono stati curati con l’infusione di cellule beta del pancreas (quelle che producono l’insulina) ottenute in laboratorio a partire da cellule staminali embrionali umane. È il primo traguardo storico raggiunto con questa tecnologia.
L’esistenza di cellule staminali negli embrioni del topo era stata descritta già nel 1981 da Martin Evans, un biologo inglese di Cambridge, nel Regno Unito. Ci vollero oltre 15 anni prima che un laboratorio americano nel 1997 dimostrasse come queste cellule esistono anche negli embrioni umani.
Generando un embrione con la fecondazione in vitro e disgregando le sue cellule dopo 3-4 giorni si ottengono cellule che proliferano senza interruzione, mantenendo però la capacità di specializzarsi in qualsiasi dei 240 tipi cellulari diversi che compongono il nostro organismo – i globuli rossi, i neuroni, le cellule del fegato sono esempi di questi tipi di cellule specializzate.
Le cellule specializzate, quindi, sono iniettate direttamente nei pazienti per ripristinare la funzione di un organo andata perduta. Tutto molto eccitante in linea di principio, ma non semplice da realizzare. Alcune sperimentazioni sono all’inizio fallite, ad esempio quelle per rigenerare il midollo spinale nei pazienti paralizzati per un trauma alla colonna vertebrale: è relativamente facile ottenere nuovi neuroni in laboratorio dalle cellule staminali, ma molto più difficile convincere questi neuroni, una volta impiantati nei pazienti, a raggiungere i muscoli che dovrebbero innervare, distanti molte decine di centimetri dal midollo spinale. Più semplice, invece, rigenerare le cellule che non richiedono l’integrazione all’interno di un organo specifico per funzionare, come le cellule beta che producono l’insulina, attive anche fuori dal pancreas.
Uno dei pionieri nella rigenerazione delle cellule beta è Doug Melton, un professore di Harvard. Nel 2015, Melton fondò a Cambridge, nel Massachusetts, una start-up, Semma Therapeutics, che 4 anni dopo fu acquistata per 950 milioni di dollari in contanti da una delle più visionarie biotech americane, Vertex Pharmaceutical, anche questa di Cambridge. Ed è Vertex ora a comunicare il successo: 10 dei 12 pazienti diabetici trattati con l’infusione di 800 milioni di cellule beta nella vena porta (la vena che porta il sangue al fegato dall’intestino) a distanza di un anno non hanno più bisogno di iniezioni di insulina e sono, quindi, virtualmente curati dal diabete.
Tre riflessioni a latere di questa storia. La prima, è che, come sempre, bisogna essere prudenti: i pazienti trattati sono ancora pochi. La terapia, chiamata zimislecel, è già attualmente sperimentata in maniera più estesa in Nord America e in Europa. Se la sperimentazione sarà positiva, Vertex cercherà l’approvazione dalle autorità regolatorie nel 2026.
La seconda è che ci sono ancora margini di miglioramento. I pazienti trapiantati con le cellule beta di Vertex devono essere trattati a vita con farmaci immunosoppressivi, come per un trapianto d’organo. Nel 2006, Yamanaka ha mostrato come sia possibile trasformare virtualmente qualsiasi cellula in una cellula embrionale staminale.
In futuro, quindi, la terapia potrebbe essere condotta a partire direttamente dalle cellule del paziente, senza bisogno di immunosoppressione. La terza riflessione è che questo non sarebbe stato possibile in Italia, perché la ricerca sulle cellule embrionali staminali umane è vietata da una legge ottusa e vetusta, imposta nel 2004. —
Riproduzione riservata © il Nord Est