Il prof De Nardi: presentarsi al voto senza votare è legittimo e non conta per il quorum

Secondo il prof. Sandro De Nardi, «presentarsi al seggio e non ritirare la scheda è una scelta legittima» e «chi non vota contribuisce comunque a far fallire il referendum». La partecipazione al voto resta un dovere civico, anche nei referendum

Laura Berlinghieri
Sandro De Nardi
Sandro De Nardi

Sandro De Nardi, docente di Diritto costituzionale all’Università di Padova, è possibile presentarsi alle urne, ma non ritirare le schede, come ha annunciato Meloni? Il cittadino viene computato nel totale degli elettori, per il quorum?

«Sì, rientra tra le legittime opzioni che un cittadino può praticare, pur presentandosi al seggio e facendo registrare la sua presenza nel verbale che gli scrutatori devono compilare alla voce “casi particolari”, non concorrerà al quorum».

Qual è la differenza rispetto a chi non si reca al seggio?

«In entrambi i casi non si concorre a far raggiungere il quorum: con entrambe le condotte si contribuisce a far fallire il referendum. Tuttavia, a mio avviso, quella annunciata dalla presidente Meloni è una scelta costituzionalmente più raffinata, che vuole lanciare un messaggio istituzionale molto apprezzabile: il buon cittadino deve sempre recarsi alle urne, dimostrando almeno di trovare il tempo per andare al seggio. A maggior ragione, dovrebbe valere per chi ricopre ruoli istituzionali. Dopodiché, una volta che ci si è fatti identificare, si può legittimamente decidere di non ritirare una o più schede. E, se le si ritira, votare “sì”, “no”, lasciare la scheda bianca (astenendosi nel voto e non dal voto) o renderla nulla».

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Qual è la ratio alla base del diritto, e non dovere, di voto?

«Sul punto circolano molti equivoci. Secondo l’art. 48 della Costituzione il voto è libero e il suo esercizio è un "dovere civico". Per alcuni studiosi questa disposizione varrebbe solo per le elezioni e non per i referendum abrogativi statali, per i quali è previsto il quorum e implicitamente sembrerebbe non sussistere alcun “dovere”. Ma io la penso come la Corte costituzionale e come il grande giurista Paolo Grossi: ritengo che l’art. 48 valga anche per i referendum. Del resto nei lavori della Costituente si è affermato che non vi era contraddizione tra libertà e doverosità nell'esercizio del diritto di voto. E la Costituzione auspica in massimo grado la partecipazione anche per i referendum, essendo la nostra una Repubblica democratica, che richiede che le libertà, anche di voto referendario, vengano sempre esercitate con responsabilità».

E qual è la ragion d’essere dei referendum?

«Attribuire al popolo la possibilità di esprimersi e incidere direttamente su certe questioni, sulle leggi che le regolano, con uno strumento di democrazia diretta, in parte bilancia la democrazia rappresentativa a cui compete il ruolo di regina nell’ordinamento».

Cosa accadrà agli articoli di legge oggetto dei quesiti, se dovessero prevalere i "Sì"?

«Prima, bisogna che si raggiunga il quorum partecipativo: per ciascun quesito deve essere ritirata la scheda da parte del 50% più 1 degli aventi diritto. Così il referendum è valido. Dopo, se prevarranno i “sì”, gli articoli di legge oggetto del quesito verranno abrogati, vale a dire cestinati, perdendo di efficacia».

Cosa pensa dell'opportunità di abbassare la percentuale per il quorum?

«La condivido pienamente: il quorum partecipativo, vista la drammatica astensione che contraddistingue quasi tutte le consultazioni, comprese quelle elettorali, andrebbe abbassato anche per rivitalizzare lo strumento referendario, che rischia di essere un’arma spuntata. Si potrebbe fissare il quorum nella maggioranza assoluta dei votanti alle ultime politiche. Ma forse alla politica fa comodo confidare in quorum elevati, per far fallire a monte la consultazione».

E dell’invito al non voto, di alcuni esponenti politici?

«Ritengo che l’invito ad astenersi dal voto standosene a casa o andando al mare sia alquanto problematico sotto il profilo costituzionale. Il quorum partecipativo fissato dai costituenti per il referendum abrogativo era stato pensato per creare un contrappeso al fatto che le norme per le quali si chiedeva la cancellazione parziale o totale erano state approvate dalla maggioranza dei parlamentari, non era un modo per favorire l’astensione. L'invito a disertare le urne, poi, pur rientrando nella libertà di propaganda, si presenta problematico soprattutto se praticato dai titolari di certe cariche istituzionali o partitiche. Per costoro, le regole di correttezza costituzionale impongono massima cautela, avendo il dovere di rispettare le regole della democrazia costituzionale, il metodo democratico e i diritti dei cittadini. Tra l’altro, si mettono potenzialmente a rischio libertà e segretezza del voto: se il leader del mio partito invita a disertare le urne, davvero sono libero di non recarmi al seggio? Davvero l’effettiva segretezza del mio è garantita?».

Talvolta, i quesiti proposti sono molto tecnici. Sarebbe opportuno limitare l’oggetto dei referendum a materie di appartenenza pubblica?

«No, di limiti al referendum ce ne sono già troppi: quelli espliciti dell’art. 75 Cost. e molti impliciti individuati dalla Corte costituzionale con decisioni non sempre coerenti e convincenti. È nell’interesse dei promotori del referendum chiamare alle urne i cittadini su temi caldi, in grado di mobilitare le masse, anche perché se non si raggiunge il quorum la fatica profusa risulta vana. E serve cautela nell’impedire il voto referendario. Poco fa, a Parigi dove mi trovo, ho rivisto un bel manifesto con la scritta Voter c’est exister!: i limiti devono essere pochi e ragionevoli, in ballo è il ruolo politico del cittadino». 

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