Dopo la vittoria nelle Marche, Meloni può «cedere» il Veneto
Sarà più facile per la premier lasciare il posto di governatore del Veneto al Carroccio: e questo malgrado il pessimo risultato della Lega, crollata di 15 punti rispetto al 2020


Dopo una vittoria di tale portata nelle Marche, con otto punti di distacco, sarà più facile per Giorgia Meloni cedere il Veneto al Carroccio: e questo malgrado il pessimo risultato della Lega, crollata di 15 punti rispetto al 2020. Si dirà, ma era un’altra era geologica: fatto sta che nelle Marche, Matteo Salvini viene superato pure da Antonio Tajani, che non manca di rivendicarlo. Se la premier, come lecito attendersi, si riterrà più che soddisfatta da questa prova per molteplici motivi, nessuno dentro Fratelli d’Italia potrà storcere il naso più se la candidatura a governatore del segretario della Liga, Alberto Stefani, venisse sdoganata dai leader di centrodestra, per non terremotare il Carroccio, mettendo a rischio l'esecutivo.
Nelle Marche la premier esce vincente sul piano personale dal primo round delle regionali, essendo riuscita a tirare la volata a un candidato non certo brillante come l’uscente Francesco Acquaroli. Secondo: il governo esce rafforzato sul piano nazionale, superando il vero test di mid term, il voto di questo swing state che sono le Marche, unica regione contendibile delle sei alle urne in autunno. Terzo, FdI si consolida, confermandosi prima forza dell’alleanza, superando con il 27% il Pd locale che si ferma al 22%. Quarto e non ultimo punto: questo voto sfata il pregiudizio diffuso che a FdI manchi una classe dirigente locale credibile e competente. Dopo tre anni di salita al trono di Palazzo Chigi il fenomeno Meloni non perde colpi, anzi.
Di contro, l’astensione penalizza soprattutto il campo progressista ed è in buona parte attribuibile all’assenza di gran parte dell’elettorato M5s, (in calo), che non moriva dalla voglia di votare un candidato come Matteo Ricci, penalizzato da un avviso di garanzia a campagna appena iniziata. Un candidato forte sulla carta, che ha fatto il pieno di preferenze alle europee, dato perfino come potenziale competitor di Schlein.
Vero che, come ha lamentato Ricci, «è stata una lotta impari, ho combattuto non contro Acquaroli, ma contro Meloni»: che da premier ha regalato alle Marche vantaggi fiscali; ha aggiustato la linea su Gaza, temendo di perdere il contatto con la pubblica opinione; ha messo in riga i leader alleati, scesi ventre a terra in campagna elettorale per non essere da meno. Sbandierando compattezza, con una regia efficace la premier ha preteso che tutti i leader salissero insieme a lei sul palco, a differenza dei comizi in solitaria tenuti dai leader progressisti.
Ma è vero pure che il campo largo messo insieme a fatica da Schlein mostra di non essere ritenuto una reale alternativa di governo, privo di progetto e di leadership riconosciuta. Anche se il Pd consolida la supremazia sui partiti di centrosinistra, la coalizione non produce alcun effetto trascinamento e prende meno voti del candidato Ricci. Vedremo nelle prossime tornate regionali - Calabria, Toscana, Puglia, Campania e Veneto - quali saranno i risultati.
Nelle Marche il centrosinistra dunque perde e di brutto, facendo evaporare il sogno di una vittoria alle regionali per 4-2, su cui contava Elly Schlein per imporre la sua guida nel campo largo. Una sommatoria di liste senza appeal: i partiti calano tutti, a dimostrazione che tra l’altro non c’è stato neanche l’effetto Gaza sperato. Quindi Schlein e Conte, oltre a decidere in fretta chi dovrà guidare la carovana, dovranno riempire i carri di contenuti e magari mettere insieme un progetto unitario che risulti convincente. —
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