Parla Renzi: «Sulla questione Nord la Lega ha deluso, ora tocca a noi»
Il leader di Italia Viva: «Con la legge di bilancio Giorgetti ci ha rimesso la faccia. Referendum Giustizia: se Meloni perderà non si dimetterà, è senza coraggio»

La «questione settentrionale è fondamentale»: a un politico acuto come Matteo Renzi, non sfugge il valore della prateria lasciata aperta dalla Lega nazionalista di Matteo Salvini. Con il solito spirito combattivo, l'ex premier guarda avanti con fiducia, convinto che il centrosinistra «può farcela», che la partita si giocherà su tasse e sicurezza e che Calenda alla fine tornerà nel centrosinistra.
Di due cose però il leader di Italia Viva è certo: che se perderà il referendum sulla giustizia, Meloni non si dimetterà. E che a destra nascerà presto un'altra formazione.
Crede davvero che la premier riuscirà a non polarizzare la sfida del referendum sulla sua figura?
«Per dimettersi ci vuole coraggio e dignità e lei ne è sprovvista. Se vince, per la giustizia comunque non cambia nulla per il cittadino comune e la sua vita: cambia il Csm, certo, ma è roba da addetti ai lavori, che non incide sui processi. È una battaglia di principio. La vera partita per mandare a casa Meloni si gioca sulla quotidianità, sul carrello della spesa, sulle tasse, sulla sicurezza. Su questo la destra sta fallendo. Ed è su questo che la sinistra può giocare in contropiede. Perché la destra sta perdendo terreno proprio sui temi che sono storicamente suoi. Il centrosinistra deve crederci».
La Manovra esce dal Parlamento con il ministro dell'Economia sconfessato dal suo partito e le classi povere a bocca asciutta. Conseguenze politiche?
«Con questa legge di bilancio Giancarlo Giorgetti ha perso la faccia. È il simbolo del trasformismo: è stato al Governo con Conte, con Draghi, con Meloni. Vice di Bossi, Maroni, Salvini. Lui si piega sempre, pur di mantenere la cadrega : peccato perché è anche un uomo simpatico. Ma questa legge di bilancio priva di visione e di spessore segna una frattura con i ceti produttivi e le famiglie italiane. avevamo bisogno di una scossa, ci danno un brodino caldo: tutto tasse e marchette».
Le opposizioni sono riuscite a fermare il blitz sui salari e sul condono. Avete presentato qualche emendamento comune, ma perché non una vera contromanovra per far capire cosa avreste fatto voi al governo?
«Ci sono 16 emendamenti comuni di Pd, Sinistra, Cinque stelle, Italia Viva. Dalla partenza di Tax alla Sanità, abbiamo disegnato una concreta alternativa. Il lavoro di costruzione procede spedito: il 2026 sarà un anno decisivo. Le illusioni di Giorgia spariranno e noi dovremo farci trovare pronti: con idee condivise e con il lavoro delle primarie».
A proposito delle primarie, Silvia Salis avrebbe possibilità di farcela?
«Per me sì. Ma Silvia ha negato ogni desiderio di partecipare alle primarie. Ora lasciamola guidare una città bellissima e complicata come Genova. Poi a tempo debito decideremo. Certo è che alle primarie ci sarà un candidato di Casa riformista con le nostre idee».
Non credete che se non risolvete subito la questione della leadership partirete azzoppati rispetto al centrodestra?
«Io sono molto convinto che la partita sia aperta. Un anno fa a Natale non ci credeva nessuno. Oggi i migliori sondaggi ci danno avanti, i peggiori ci danno sotto di 3/4 punti. Cosa significa? Che la partita è aperta. Giochiamocela. E quando porteremo tre milioni di italiani alle primarie vedremo che sarà uno straordinario acceleratore per la costruzione di un centrosinistra vincente».
Ma che rapporto avete ora lei e Giuseppe Conte?
«Con Conte abbiamo idee radicalmente diverse sul passato. Lui non avrebbe mai voluto Draghi a Palazzo Chigi. E io non avrei mai fatto un governo con Salvini. Dopo di che, nessun leader del centrosinistra potrà permettersi di mettere il proprio ego davanti al grande obiettivo di salvare questo Paese da altri cinque anni di Urso e Lollobrigida. Chi si tira indietro, regala la vittoria a questa maggioranza inconcludente. E dunque ognuno si tiene le proprie idee sul passato, ma è maturo il tempo di creare un'alternativa. Dove l'abbiamo fatto sui territori, da Genova alla Toscana, dalla Puglia alla Campania, abbiamo vinto. Quando abbiamo messo i veti, nel 2022 come in Liguria lo scorso anno, abbiamo perso. Non si tratta di diventare migliori amici ma la matematica ha le sue regole ferree».
Tra i rapporti difficili, c'è quello con Calenda, che ora flirta con Tajani e Meloni. Sapete che il suo 'X per cento' può determinare la sconfitta o la vittoria. Proverà a convincerlo che i sui voti conterebbero di più a sinistra che a destra?
«Conosco Calenda, è imprevedibile e deciderà all'ultimo minuto. Di sicuro, il suo 3% dei sondaggi, se lui non si schiera, è destinato a scendere in uno scontro bipolare. Penso che alla fine cercherà di tornare nel centrosinistra».
E nell'attesa come procede la costruzione della Casa riformista?
«Molto bene. Il 17 gennaio a Milano faremo un passo avanti ulteriore. Per adesso puntiamo a irrobustire le idee. Siamo stati i primi a parlare di costo della vita, sicurezza, tasse. E per la legge di Bilancio abbiamo proposto una misura per i giovani, la Start Tax: si tratta di detassare i ragazzi per evitare che se ne vadano all'estero, vero dramma di questo paese. Casa Riformista deve insistere sulla questione sicurezza e sul sostenere il merito: questo Governo odia i giovani che studiano, come ha dimostrato la ministra Bernini. Se mandiamo via i laureandi, distruggiamo il futuro. E meno studenti ci sono, più le città diventano praterie per i maranza. Io non mi rassegno a questo declino».
L'ultima mediazione della maggioranza su Kiev, conferma le tre linee del governo sulla politica estera. Nell'opposizione ce ne sono sei. Che credibilità internazionale può avere l'Italia in questo modo?
«Le coalizioni sono divise in modo analogo. È una brutta notizia, ma non cambia il giudizio dei mercati o dei commentatori sull'Italia».
La Meloni però è stata brava sul dossier degli asset russi, o no?
«Meloni ha dimostrato di guidare il consiglio europeo. Bene. Ma adesso quando ci sarà un problema, lei non potrà più scaricare la colpa su Bruxelles. Perché lei comanda anche a Bruxelles e dunque è anche lei responsabile degli errori dei tecnocrati di Ursula».
Ma come conciliare la vostra linea sull'Ucraina con quella di Conte e Avs?
«Negli ultimi anni la politica estera è diventato elemento di divisione interna, in Parlamento, nelle coalizioni, persino nei singoli partiti. La politica estera è una cosa difficile, richiede tempo, intelligenza. Non è un tweet, un viaggio, una dichiarazione ad effetto: fare politica estera significa trovare pazientemente le ragioni dell'unità. E questo dovremo fare noi, sia a destra che a sinistra. Sperando che da qui a qualche settimana la tregua blocchi la guerra russa in Ucraina».
La Lega dei governatori accusa Salvini per aver trascurato la questione settentrionale, le ragioni del nord produttivo. Fare qualcosa per incunearvi in questo spazio lasciato scoperto dalla Lega nazionalista?
«Sì, è fondamentale. La Lega di Salvini è in crisi nera. Noi cercheremo di recuperare nel mondo produttivo: se c'è Casa Riformista, un pezzo di mondo imprenditoriale e di professioni votato più facilmente per noi. Ma non sottovaluti che anche a destra nascerà qualcosa, contro le titubanze e contraddizioni di Meloni».
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