Zaia: «I turisti sono una risorsa. Regole sì, proibizioni no»
Il presidente della Regione analizza l’overtourism sulle località delle Dolomiti: «Serve il collegamento di Cortina al Civetta e anche quello ad Arabba»


Overtourism, ancora e ancora. Come si fa a non parlarne in Veneto, prima regione turistica d’Italia? Qui abbiamo anche le tre facce della medaglia, se l’espressione non fosse arbitraria: mari, monti e città d’arte. Più Venezia, e i laghi. Nelle scorse ore, una comunicazione del premio letterario “Pelmo d’Oro” diceva questo: che la montagna è lentezza, fatica, umiltà. Ultimamente, a dire il vero, sembra più il contrario: velocità, sforzo zero, arroganza…
Luca Zaia, presidente della Regione Veneto, mette un sostanzioso paletto davanti alla nostra discussione: «I turisti, in Veneto, non sono un problema ma una risorsa. Sono graditi. Gra-di-ti. Con i suoi 18 miliardi di euro all’anno, il turismo è la prima industria di questa terra».
Sembra quasi la guerra dei due mondi. Ricchi e poveri, tradizionalisti e modernisti, caciaroni versus rispettosi. Presidente…
«Il buonsenso deve guidare chi governa il territorio. Non può essere tutto amarcord da un lato, tutto lusso e comodità dall’altra. Serve un equilibrio che va ricercato, è indubbio. La promiscuità di questi due mondi è nelle cose. Noi non possiamo, né dobbiamo, scegliere tra un turismo marcatamente elitario e quello, diciamo, saccopelista. La stratificazione sociale c’è sempre stata, a partire da Cortina stessa che aveva gli hotel per i ricchi e le case in affitto per gli altri. In Veneto, tre posti letto su quattro sono extralberghieri. E però, ce la prendiamo con Airbnb che porta troppa gente nelle nostre città. Qui, più che un approccio ideologico, serve una valutazione direi quasi industriale del processo, ovvero della sostenibilità dei flussi».
Certo, che quella valutazione ci serve. Ma non ce l’abbiamo?
«Il presente di oggi è stato l’innovazione di ieri. C’è stata un’epoca in cui nemmeno esistevano, gli impianti di risalita. E comunque non erano così diffusi. Oggi abbiamo la tecnologia che svolge molti compiti, rende gli impianti più sicuri, aumenta il comfort…»
Aumenta la portata… Ha visto le code per il Seceda in Val Gardena. Lì non c’è solo il fatto che vanno tutti lì per farsi un selfie iconico. C’è un impianto di risalita che non regge quell’impatto, e non a caso qualcuno ha detto: bisogna farne uno nuovo e triplicare la portata. È questa la soluzione, vomitare più turisti ancora da valle a monte? Bisogna partire dalla tutela e dal rispetto, dice il governatore. E se la soluzione fosse salassare le brigate meccanizzate dei turisti? Come sulle Tre Cime, come a Braies in Alto Adige.
«Le Tre Cime hanno una loro peculiarità, non è che un modello che funziona lo esporti ovunque, un po’ a casaccio. Ma certo puoi immaginarti percorsi simili, altrove. A fronte di una antropizzazione eccessiva, bisogna anche pensare ad alternative. Ero stato io a firmare con il ministero delle Infrastrutture l’intesa sul treno delle Dolomiti, sembrava utopia. Epperò, se l’avessimo fatto, avremmo evitato la rottura di carico a Calalzo, con un progetto iconico».
Ma non è andata così. Questione di vista lunga, parrebbe: «Ma scusi, secondo lei quelli che nel lontanissimo 1949 hanno fatto l’autostrada A4 si erano basati sul numero di patenti o motorizzazioni dell’epoca o avevano avuto la vista lunga?»-.
Un documento della Fondazione Dolomiti Unesco dice alcune cose. Bisogna destagionalizzare. Bisogna portare turisti verso più destinazioni, spezzando la catena del must visit che poi è un must selfie. E bisognerebbe anche gestire meglio gli influencer, magari indirizzandoli verso le hidden gems, le gemme nascoste dei nostri territori. O no?
«Lo diciamo da decenni che bisogna destagionalizzare, è quasi una ovvietà. Stiamo aumentando i finanziamenti in questo senso. Sa quante aree abbiamo, che vedono turisti per cinque o sei mesi e poi basta? Le stesse Colline del Prosecco, i Colli Euganei, i circuiti termali, il Delta del Po. Ma stiamo migliorando, anche con finanziamenti pubblici accostati ai privati».
Il tema si sposta inevitabilmente su quale turismo vogliamo, e il dubbio è se si possa tenere insieme un po’ tutto. Zaia è un cultore della tradizione ma non sembra ammaliato dalle sirene del ritorno all’antico, di un certo neo ascetismo.
«La montagna deve avere i servizi, ma vive di turismo. Questa è la sua prima opportunità. C’è chi vuole un ritorno al passato, per certi versi lo capisco, ma guardiamo in faccia alla realtà, con quel tipo di turismo non ci si mantiene, c’è poco da fare. Quanto a influencer, social e compagnia cantante: ben venga chi ha la bacchetta magica, ma non si può svuotare il mare col cucchiaino. Quel mondo là esiste. Certe realtà vanno salvaguardate, penso al Sorapiss. Ma non puoi occultarle, anche chi non può andarci ha diritto a goderne della bellezza attraverso i social. Regolamentare ha più senso che proibire».
Arrivare in macchina fin sotto il rifugio, mangiare stellato, dormire in una bussola in vetroacciaio. Sono questi i rifugi che ci piacciono? O bisogna tornare ai tavolacci, poveri (di comfort) ma felici?
«Intanto, diciamo che non c’è alcuna giungla architettonica, tutti i progetti sono soggetti a vincoli paesaggistici e ambientali e la sovrintendenza sta facendo un ottimo lavoro. Detto questo, è il mercato a regolare la ristorazione. A me personalmente piace la cucina tipica ma rispetto gli chef creativi. E comunque, mi si deve spiegare perché a Venezia posso avere le sarde in saor e uno stellato, e in montagna non posso avere la polenta e uno stellato?».
La montagna è di chi la vive, di chi la abita. Su questo dovremmo esserci. La piaga dello spopolamento, anche se Uncem individua una controtendenza. E lo smantellamento dei servizi, quello sì che pesa sui territori.
«Non ci sono più gli alpeggi, il bosco si mangia i prati, altro che deforestazione per mano dell’uomo. Ma lo sa che ogni anno abbiamo centomila ettari in più di bosco? Di cosa parliamo? Eppure, tutti disquisiscono sul disboscamento. La montagna non si mantiene con filosofia, ma con azioni pratiche. Le Olimpiadi, cui ho creduto inizialmente da solo, porteranno un nuovo rinascimento a Cortina e creeranno interesse per tutto il territorio. E accanto a uno stellato ci sono sempre state anche le osterie. Quanto alle gemme segrete, a me viene in mente la Val Zoldana, che è bellissima. Ecco. Ci serve il collegamento di Cortina al Civetta, e anche quello ad Arabba».
I famigerati nuovi impianti di collegamento. Questo sì che è un tema. Altro consumo di suolo, sarà il prevedibilissimo grido d’allarme.
«Ho sentito anche dire che le ultime frane e colate nell’Ampezzano sono state causate da quello, dal consumo di suolo, ma chi lo dice non collega il cervello alla bocca. La natura fa il suo corso, là ci sono franamenti millenari, e tutti quei ghiaioni non li hanno mica portati i cavatori… Le nostre montagne sono scolpite dal dissesto idrogeologico, e da un certo punto di vista è anche la loro potenza. Se non ci fosse stata la statale 51, quegli stessi ghiaioni sarebbero finiti giù sul Boite e si sarebbe certo creato un nuovo lago, per dire».
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