Bersani: «La destra nega la realtà, ma i fatti hanno la testa dura. In Veneto serve una riscossa riformista»

L’ex leader dem analizza il voto imminente e attacca il Governo: «Crescita ferma, salari in calo, propaganda al posto delle soluzioni». Su Schlein: «Basta tiro al piccione, prima l’alleanza poi il leader»

Filippo Tosatto
Pierluigi Bersani
Pierluigi Bersani

Pierluigi Bersani, apostolo del verbo dem, beniamino del popolo di sinistra: mutano tempi e volti della politica ma in Veneto e Friuli Venezia Giulia il centrodestra sembra destinato a vincere. Perché l’alleanza progressista non riesce a scandire la discontinuità?

«In realtà, dal voto di domenica io mi aspetto una riscossa, un nuovo inizio. Certo, il cammino è in salita ma abbiamo bisogno di un risultato che inneschi la fiducia nel futuro. Agli albori della mia esperienza regionale, ho toccato con mano l’incontro fra la tradizione riformista emiliano romagnola e il solidarismo cattolico veneto: tradizioni diverse, capaci di giungere a grandi soluzioni in ambito sociale. Tina Anselmi e Adriana Lodi, due regioni diventate il motore di un ventaglio incredibile di riforme: il servizio sanitario, la psichiatria, il diritto di famiglia, l’autonomismo. Partirei da lì per dire che la lunga stagione di Luca Zaia ha orientato il leghismo verso alcuni aspetti di quella tradizione democratica: è stato un suo successo ma ora la destra sta cambiando il bambino nella culla veneta. Non siamo semplicemente al dopo Zaia, la Lega è sempre più pressata dalla linea regressiva di Salvini, per non parlare di Vannacci, mentre la cultura post missina di Fratelli d’Italia si sta insediando stabilmente. Memoria e radici sono in pericolo».

Lei evoca un cambio epocale: Giovanni Manildo è all’altezza della sfida?

«Ne sono convinto, mi sembra la figura giusta, è un amministratore competente, immerso nella realtà, sensibile alla cultura della solidarietà. Ha raccolto un’ampia convergenza. Previsioni? Certo l’obiettivo è vincere ma in una scalata è importante fare passi avanti e piantare il chiodo. Oltretutto, i problemi cominciano a manifestarsi: l’economia ferma, i giovani che se ne vanno, la sanità è in grave affanno. Criticità che richiedono un patto tra impresa, innovazione, lavoro, ambiente, qualità del vivere. Un ricetta nuova e diversa da questa ventata di destra estranea al patrimonio valoriale del Veneto».

Esiste il rischio che, a fronte di un’egemonia conservatrice, il Pd si rivolga ad un Paese immaginario?

«Aldilà delle parole, la realtà si sta imponendo a tutti, centrosinistra in primis. L’Italia sta declinando perché, nonostante la barcata di soldi del Pnrr, la crescita ristagna. Perché l’industria non riceve risposte su nodi fondamentali quali energia, innovazione, burocrazia. Perché non ci può essere ripresa senza dignità del lavoro. Quando milioni di persone, anche al nord, rinunciano alle cure, allora i voli pindarici sono proibiti. La destra nega la realtà e la uccide con la propaganda. Chiacchierano di autonomia differenziata in Veneto e di condono in Campania ben sapendo che sono bubbole. Mascherano i problemi reali con obiettivi fasulli. Per rispondere alla domanda, credo che la realtà provvederà a correggere, quando ci sono, i limiti e i difettucci del centrosinistra».

L’opposizione giudica fallimentare l’operato del Governo ma il gradimento di Giorgia Meloni permane elevato. Come lo spiega?

«Guardiamo i fatti. C’è un segmento di popolazione che qualcosa riceve da una fiscalità distorta mentre la concentrazione dei soldi premia la rendita mascherata da profitto: banche, assicurazioni, grandi società di servizio. Poi c’è una fascia che, per opportunismo italico, sta sempre con chi governa, magari senza esserne convinta. Il cuore della questione, però, è rappresentato dall’ideologia cresciuta tra le spine della globalizzazione: mi salvo da solo, scarico su qualche capro espiatorio, rifiuto ogni forma di solidarismo. Si scagliano contro il politically correct ma il vero bersaglio è l’equità. Per un po’ l’ideologia resiste ma i fatti hanno la testa dura. Quando la destra è arrivata, tre anni fa, noi crescevamo più della media nella zona euro, oggi siamo diciottesimi su 20, l’anno prossimo saremo ultimi. Salari reali a –8% rispetto al 2021, crescita paralizzata. Dati dell’Istat, non di Bersani. Alla lunga, la distrazione di massa non regge: c’è assoluta urgenza di proposte credibili e mi pare che in Veneto il partito democratico stia lavorando seriamente su questo».

Non sarà che gli elettori premiano il centrodestra perché sul versante alternativo manca una leadership credibile?

«Ciclicamente, veniamo trascinati in discussioni sul leader da soggetti esterni, falsamente amichevoli: io dico che prima del comandante ci vuole l’esercito. Oggi il campo progressista si sta allargando, sia nelle regioni che negli altri appuntamenti elettorali, manca ancora un progetto politico nazionale, mi auguro che dal voto di Veneto, Toscana e Campania arrivi la spinta decisiva. Elly Schlein? A chi non la vede bene, consiglio di cambiare gli occhiali: l’esigenza del Pd è riflettere sulla sua struttura e mettersi in condizione di selezionare una classe dirigente all’altezza anziché riversare tutto addosso al segretario. Noto anch’io un po’ di tiro al piccione sulla Schlein e lo sconsiglio vivamente. Lei è molto diversa da come viene descritta ed è in grado di interpretare l’identità democratica, che è sempre il frutto di un gioco di squadra. La nostra gente non invoca un capo, chiede l’unità per battere la destra. Percepisce che la vittoria è possibile e teme che l’opportunità vada sprecata. Prima l’alleanza tra partiti e pezzi di società civile, poi il battesimo del Leader».

Il caso Garofani, le tensioni tra Palazzo Chigi e il Presidente della Repubblica: polemica estemporanea o preludio di uno scontro istituzionale?

«Lamentano che un consigliere abbia detto qualcosa mentre la seconda carica dello Stato, il presidente del Senato sì, ne va dicendo di ogni tutti i giorni… Non stiamo a pettinare le bambole, questi vogliono arrivare là e cominciano a destabilizzare là. Se non lo capiamo, tanto vale credere agli asini che volano». 

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