La guerra delle bandiere alla convention del centrodestra a Padova: ecco come è andata
Divisione di stendardi da manuale Cencelli al Geox, poi il blitz dei Fratelli. L’accusa: «Truppe cammellate di FdI, anche da fuori regione». Tante defezioni tra i leghisti: «Non è andando lì che si prendono voti»

Le bandiere avrebbero dovuto essere soltanto quelle con cui già era stata allestita la platea. Con una suddivisione, tra i partiti, da manuale Cencelli. «E invece i Fratelli hanno giocato sporco, portandosele da casa e improvvisando persino un banchetto all’ingresso del teatro» accusa un colonnello del Carroccio. Polemico, nel commentare l’oceano di bandiere meloniane, che martedì sera ha affollato il Gran Teatro Geox di Padova, agghindato a festa per la conclusione della campagna elettorale di Alberto Stefani.
Sostenuto da qualche decina di bandiere della Lega, costrette a fronteggiare non soltanto i classici drappi con il simbolo di FdI, ma pure “lenzuoloni” di svariati metri quadrati, uno striscione tutto per il vicentino Francesco Rucco, uno di Gioventù nazionale e anche qualche bandiera di Azione studentesca.

D’altronde, la guerra è guerra. E, i suoi, De Carlo li aveva preparati: «Dobbiamo farci sentire». Lo hanno fatto. E lo ha fatto pure il coordinatore veneto di FdI, presidiando l’accesso del Geox, prima che aprisse le porte, per accogliere i suoi; per poi consumare le suole delle scarpe, tra gli spazi del teatro.
Ma il fuoco di fila leghista non fa prigionieri. Accusa i Fratelli di avere “drogato” l’estetica del teatro – le bandiere erano previste soltanto per i posti della platea; portandosele da casa, i meloniani hanno dipinto pure la tribuna, e di un colore solo. Li accusa di avere riempito il Geox di militanti, arrivati a bordo di pullman provenienti persino da fuori regione. Truppe cammellate.
E si battaglia pure sui numeri: 1400 i leghisti che si erano iscritti all’evento, alcuni dei quali costretti ad assistervi dal parcheggio, visto il sold out; mentre, per i Fratelli, la matematica è stata molto più “morbida”. «Hanno detto che sarebbero stati un migliaio. Ma non sappiamo, poi, quanti si siano effettivamente presentati».
L’esito è stato immortalato da fotografie e video. L’applauso tributato ad Alberto Stefani, è vero. Ma l’accoglienza, quasi da rockstar, per la premier Giorgia Meloni. Che ha concluso la serata a cena, con un gruppo di imprenditori, a Villa Cornér della Regina a Vedelago – ristorante di Simone Furlan, il “papà” dell’esercito di Silvio – per gli 80 anni della Cgia di Mestre.

Tornando all’evento di fine campagna, c’è poi da dire che la Lega ha potuto contare su una truppa ridotta, considerando le tante defezioni, sia tra i consiglieri – Milena Cecchetto e Stefano Valdegamberi, ad esempio, erano impegnati con Roberto Vannacci – che tra gli assessori regionali. Nessuna polemica con la segreteria.
«Ma non è al Geox che si prendono voti» riassume un leghista che ha preferito la campagna sul territorio alla convention di coalizione. Una campagna che è ai limiti del “porta a porta”. Snervante, soprattutto per i rappresentati di un partito a cui, fino a cinque anni fa, bastava l’esibizione del simbolo della Lega – o della lista Zaia – per vedersi spalancare tutte le porte.
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