Il nuovo catasto ritorna nell’ombra

Da Palazzo Chigi in giù l’esigenza di catalogare gli “immobili fantasma” della Penisola è stata in teoria accolta e digerita in nome dell’equità, ma pone le basi per un aumento della tassazione

Marco Zatterin

«Il catasto, mi raccomando», manda a dire la Commissione Ue. «Sì, certo, il catasto», rispondono i tecnici del governo italiano, in attesa che ai piani alti della politica capitolina ci si ricordi che anche questa secolare stortura – funesta o benvenuta, a seconda dei punti di vista - deve essere corretta sino in fondo.

Non è l’Europa che ce lo chiede, non almeno in prima battuta. Dobbiamo farlo perché da Palazzo Chigi in giù l’esigenza di riformare il DNA immobiliare della Penisola è stata in teoria accolta e digerita in nome dell’equità. Ma siccome pone le basi per un aumento della tassazione, sbatte contro l’imperativo assoluto sventolato dal centrodestra, «non alzare le imposte», nemmeno a chi ne paga troppo poche.

Pertanto, se ne parla solo se si deve. E si cerca di vedere se, e in che misura, si può far slittare un’altra volta una risoluzione complessiva che l’esecutivo Letta e poi quello Draghi non sono riusciti a siglare. La stessa che i successori preferirebbero evitare o, alla peggio, tenere nel retrobottega del dibattito almeno sino a che non fosse disperatamente necessario.

Nel piano concordato e approvato dalla Commissione con la strategia di medio termine (sette anni) per la riduzione di deficit e debito, è elencata la doppia dozzina di riforme che l’Italia deve attuare per meritarsi tempi più larghi per correggere gli squilibri di bilancio. Quando si arriva agli interventi sul Fisco, si incontra la riduzione della pressione sulle famiglie a reddito meno alto (il cantiere è aperto), ma anche «l’aggiornamento del registro catastale», provvedimento-chimera da sempre.

L’indicazione è precisa: catalogare entro il 2027 gli “immobili fantasma”, cioè tutte le proprietà attualmente non inserite negli elenchi (sarebbero circa 4 milioni); aggiornare i valori di tutte le proprietà che dal 2019 sono state rinnovate con il contributo pubblico, dunque col bonus 110 e simili, entro il 2028.

Per Bruxelles, e per Roma che le ha accettate, sarebbero due decisioni irrinunciabili. Al momento, la presenza del provvedimento nella manovra 2025 non è però prevista. C’è un intervento parziale nel Dl fiscale. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, d’intesa con la premier Giorgia Meloni, ha optato per un’azione che dà la caccia alle costruzioni-fantasma e rivaluta i cespiti che hanno beneficiato del Superbonus. Bruxelles ha detto che va bene, ma più fonti ritengono che sia necessario fare meglio e di più.

Il perché, è presto detto. L’intero catasto è basato su dati almeno obsoleti. Riformato da Napoleone e introdotto in Italia nel 1939, è stato aggiornato solo due volte, nel 1962 per i terreni, e nel 1990 per gli immobili. Vuol dire che i valori di estimo delle proprietà hanno almeno 35 anni, e sono figli di tutt’altro mondo. Sarebbe onesto rivederli tutti, perché ogni proprietario di immobile pagasse le tasse che corrispondono all’effettivo valore dei suoi locali.

Il taccuino ricorda che il patrimonio nazionale vale più di 6 mila miliardi e ne rende appena 42 di imposte. E se in Italia chi tocca la casa rischia anni di mugugni – si tratterebbe delle prime case dei ricchi e delle seconde/terze case, comunque -, chi non lo fa aumenta le diseguaglianze e gonfia il debito. Conti alla mano, è naturale vedere cosa converrebbe. E nonostante questo, potrebbe continuare a non succedere. —

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