Vittime del comunismo, il governo sloveno cancella la Giornata per il ricordo

L’esecutivo di Lubiana elimina la data introdotta l’anno scorso da Janša: «Mancati dibattito e coinvolgimento di storici». Esplode la polemica
St .g.
Il premier Robert Golob
Il premier Robert Golob

LUBIANA Era stato il canto del cigno del governo retto dall’allora premier Janez Janša. Ma ora è stato messo nel cassetto, in Slovenia, tra nuove polemiche e anche accuse di voler fomentare la violenza. Sta generandoaccese discussioni una decisione del governo di Lubiana retto dal premier Robert Golob, che ha cancellato la cosiddetta Giornata nazionale per il ricordo delle vittime del comunismo, introdotta il 12 maggio del 2022 dal precedente esecutivo di centrodestra. La Giornata, che si sarebbe dovuta tenere ogni 17 maggio, viene annullata perché fu introdotta quando l’esecutivo uscente «doveva gestire solo gli affari correnti, senza prendere decisioni politiche» e soprattutto perché la commemorazione venne fissata senza un «dibattito pubblico» e il coinvolgimento di storici ed esperti, ha fatto sapere il governo sloveno in una stringata nota.

La Giornata ora cancellata era stata una delle ultime decisioni di Janša, prima di cedere la poltrona di premier a Golob. Annunciata nel maggio 2022, era stata definita un atto di «civiltà» e memoria da Janša e dai suoi, per «evitare che i più tragici eventi della nostra storia si ripetano». Alla base, l’assunto che tra l’estate del 1941 e il gennaio del 1956 «la violenza comunista» avrebbe causato «nell’attuale Slovenia decine di migliaia di morti violente di civili e prigionieri di guerra», oltre ad avere impattato negativamente su «centinaia di migliaia di sloveni con violazioni dei diritti umani e delle libertà», aveva sintetizzato ai tempi l’agenzia slovena Sta. Il 17 maggio era stato scelto come data simbolica, perché lo stesso giorno del 1942 ci fu il «primo massacro di civili» da parte di una «unità partigiana» a sud di Lubiana, aveva precisato la Sta, e Lubiana aveva definito quel crimine «il primo di una serie perpetrata dal movimento partigiano comunista». Il picco delle uccisioni, aveva scritto sempre l’agenzia, nella primavera 1945, quando «più di 15mila sloveni, l’1% della popolazione, fu ucciso in poche settimane», il tutto seguito dall’eliminazione di «decina di migliaia di prigionieri e civili di altre nazionalità (croati, serbi, montenegrini, italiani) dopo la fine della Seconda guerra mondiale».

Ma l’idea della Giornata non piaceva a molti, in Slovenia: non sarebbe stato altro che «una battaglia ideologica con il passato», per stornare l’attenzione da altre mosse del governo uscente, aveva sostenuto nel maggio scorso lo storico Bozo Repe. Ora, la settimana scorsa i Socialdemocratici (Sd), partner nella maggioranza che sostiene Golob, avevano sostenuto che si dovesse annullare una commemorazione concentrata «più sul revisionismo che sulla riconciliazione». Infine la decisione del governo Golob, che ha cancellato la Giornata alla vigilia delle commemorazioni: un vero schiaffo. Da qui le reazioni, molto negative, con ampie parti dell’opposizione che hanno accusato l’esecutivo di fomentare l’odio. «Il governo attuale non è capace di apertura mentale», ha criticato Matej Tonin, leader dei cristiano-democratici di Nuova Slovenia. Ben più duro lo stesso Janša, che come sempre via Twitter ha bollato la decisione come «uno degli atti più orrendi e disgraziati della storia della Slovenia indipendente», che mina i tentativi di «riconciliazione fatti da una generazione». Ma Janša è andato oltre, accusando il governo «neocomunista» di Golob di voler annunciare così una «guerra civile» e perfino di desiderare di nuovo «riempire le fosse e le miniere con chi la pensa diversamente».

Le parole dell’ex premier hanno provocato la dura replica del Movimento Libertà di Golob: il capogruppo Borut Sajovic ha stigmatizzato l’evocazione «della violenza»; e la ministra della Giustizia Svarc Pipan ha informato di aver segnalato Janša alla Procura per il tweet incriminato. Ma sempre ieri sono arrivate altre critiche al governo, molto autorevoli. Di decisione «inappropriata» e «inaccettabile» ha parlato infatti anche l’ex presidente della Repubblica slovena Borut Pahor, stigmatizzando la mossa dell'esecutivo di centro-sinistra. St .G.

Riproduzione riservata © il Nord Est