Tremila chilometri con un pulmino nel cuore dei Balcani da “rifotografare”
L’iniziativa del Mib che ha coinvolto cinque studenti
per comprendere meglio i nuovi processi politici e culturali

FIUME. Un viaggio di studio nella regione balcanica, come ogni viaggio, è una sintesi fra geografia e storia, politica ed economia, letteratura e religione, società e tradizione, lingue e culture, usi e costumi, modi di essere e di pensare. Si parte da Trieste per nove giorni in pulmino con cinque studenti e si percorrono 2919 chilometri seguendo un itinerario che prevede tappe di approfondimento a Fiume, Banja Luka, Jajce, Travnik, Sarajevo, Višegrad, Mokra Gora, Studenica, Skopje, Niš, Petrovac na Mlavi, Belgrado e Zagabria. Si incontrano sedi universitarie, delegazioni governative, ambasciatori italiani, docenti, studenti ed ex, professionisti, contadini, intellettuali. Più si impara, più si scopre il carattere complesso e affascinante dell’eterno mosaico balcanico, spesso considerato la polveriera d’Europa.
Qual’è l’interesse di esplorare i Balcani nell’estate del 2022? Tre elementi rendono il viaggio attraente. Come la pandemia di Covid-19 ha modificato gli equilibri? Quanto la prospettiva di integrazione europea ha attenuato gli atavici conflitti? Come la crisi ucraina ha risvegliato talune coscienze? In Bosnia-Erzegovina sia il professore Miloš Solaja a Banja Luka, che il professore Jasmin Hasanović a Sarajevo confermano la situazione precaria di un paese immerso nelle contraddizioni di un assetto istituzionale complicato e disegnato da una carta costituzionale imposta dalla comunità internazionale nel 1995 con gli Accordi di Dayton.
Scritta in originale in inglese negli Usa, la costituzione prevede l’esistenza di tre popoli o entità etnico-religiose, vale a dire i serbi cristiano-ortodossi, i croati cristiano-cattolici ed i bosniaco-musulmani, suddivisi in due entità amministrative (la Federazione croato-bosniaca e la Repubblica Srpska), poste sotto la supervisione e l’arbitrato di un Alto Rappresentante della comunità internazionale. Ogni entità etnico-religiosa si preoccupa quotidianamente di proteggere i propri interessi culturali, politici ed economici e ciò compromette le opportunità di privilegiare un’intesa statale e la creazione di un sistema-paese. La cooperazione istituzionale, inoltre, è resa spesso difficile anche dalla presenza dell’Alto Rappresentante, personaggio sovente percepito come un sinistro, estraneo e artificiale attore della politica di un paese che non ha mai realmente ottenuto una piena sovranità.
Le prossime elezioni del 2 ottobre 2022, imposte da una decisione unilaterale di carattere finanziario da parte dell’Alto Rappresentante, impegneranno le tre comunità della Bosnia-Erzegovina in una partita in cui si mescoleranno sia i contrasti sui casi interni (il più evidente è quello di Želiko Komšić, rappresentante croato alla presidenza collegiale eletto però dalla comunità bosniaco-musulmana), sia sugli equilibri fra garanzie a livello etnico e norme a livello statuale, sia sulle posizioni in relazione alla crisi in Ucraina (la comunità serba di Bosnia-Erzegovina è molto morbida nei confronti della Russia).
Damjan Jugović, funzionario del Consiglio d’Europa a Sarajevo, e Marco di Ruzza, Ambasciatore d’Italia a Sarajevo, confermano la permanenza delle contraddizioni di un paese che, peraltro, intrattiene con l’Italia importanti relazioni commerciali (dal 2021 l’Italia è il primo esportatore in Bosnia-Erzegovina ed il secondo operatore commerciale dopo la Germania).
Un paese dotato di una straordinaria bellezza naturale, con i suoi rilievi montuosi verdi, i suoi fiumi quasi inaccessibili (il Vrbas, il Bosna, la Miljacka, la Praca, la Drina fra gli altri) che scavano dei canyon di rara suggestione per poi aprirsi a guisa di laghetti sorprendenti, le sue fortezze (quella di Jajce impressionante), le sue costruzioni imprescindibili come la casa di Ivo Andrić a Travnik o il ponte sulla Drina a Višegrad, al centro del quale vi è la “kapia”, il salottino di pietra ove ci sediamo per leggere le pagine magistrali del Premio Nobel per la letteratura.
La Serbia ci riserva altri fiumi (l’Ibar, la Morava. la Sava, il Danubio, la Nišova), altri rilievi montuosi (il villaggio Mećavnik a Mokra Gora unisce il dono della bellezza allo spirito del famoso regista serbo Emir Kosturica), altri luoghi di meditazione. Al monastero di Studenica, fondato nel XII secolo da Stefan Nemanja, capostipite della omonima dinastia passato alla storia come San Simeone, si coglie l’incanto del silenzio onorato dagli affreschi medievali che rammentano le gesta dei santi e degli eroi del tempo.
Studenica, come il monastero di Gornjak sul fiume Mlava, aiuta a riflettere sui conflitti durati secoli per la diffusione e la conservazione del cristianesimo ortodosso di fronte alla dominazione ottomana, iniziata nel secolo XIV e proseguita fino all’inizio del XX secolo. I sacerdoti sono l’emblema di una sofferenza costante, che trova conforto nella preghiera in questi luoghi appartati, sulle alture, vicino ai fiumi, ove il mondo assume una dimensione metafisica e trascendente.
La Serbia rimane il fondamento della regione balcanica. Gli eredi del popolo che fu dell’Imperatore Dusciano (XIV secolo) mantengono il loro posto al centro della penisola. Con consapevolezza e orgoglio, malgrado i profondi conflitti del passato, i serbi sono alla ricerca di un equilibrio che permetta il mantenimento della loro identità nazionale e religiosa e la pacifica convivenza con i paesi vicini, nel più ampio quadro della comunità di paesi europei.
Questo grande obiettivo trova sempre la questione del Kosovo al centro delle preoccupazioni. Quella che per i serbi rimane la provincia autonoma di Kosovo e Metohija si autoproclamò indipendente nel 2008 per volere della componente di etnia albanese ed è stata riconosciuta come tale da circa la metà dei paesi del mondo. Per i serbi, tuttavia, il Kosovo e Metohija è il cuore della loro storia e della loro epopea nazionale, luogo sacro in cui fiorirono i più importanti monasteri, custodi della scrittura, della lingua e della cultura del popolo.
Non rinunciano alla sovranità su una regione che oggi ospita una grande maggioranza di cittadini albanesi di religione musulmana, ma che è stata teatro di scontri spietati nel corso degli anni Novanta, culminati con il bombardamento della Nato dal 24 marzo 1999 al 10 giugno 1999. La memoria di quel bombardamento, che i serbi giudicano un atto criminale, arbitrario ed illegittimo, è presente nella popolazione urbana e rurale e tale ferita non sarà guaribile in tempi brevi, forse mai. E rimane pur sempre il problema del rientro dei cittadini serbi in Kosovo, dopo le espulsioni forzate del 1999 e gli atti di violenza albanese nel 2004.
Con soddisfazione Petar Petković, direttore dell’Ufficio Kosovo e Metohija del Governo della Repubblica di Serbia, ricorda che ben 18 paesi del mondo hanno fatto marcia indietro e ritirato il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo.
La Macedonia del Nord, come sottolinea Karolina Stavreska, direttrice dell’Ufficio Nato del ministero degli Affari Esteri, vive un momento particolarmente difficile in relazione all’opposizione bulgara all’inizio del processo di adesione del paese all’Ue. Dopo la recentissima accettazione del documento francese che induce Skopje ad accettare alcune delle richieste di Sofia, i negoziati sono appena iniziati e coinvolgono sia la Macedonia del Nord che l’Albania. Ma a Skopje le forze di centro-destra danno battaglia: considerano il compromesso francese lesivo della dignità del popolo.
Si rientra dai Balcani attraverso Zagabria, che attende l’adozione dell’euro e guarda con preoccupazione alla crisi in Ucraina, ma che sembra ancora molto lontana da Belgrado. La passione per i Balcani è anche legata ai contrasti perenni ed irriducibili, che affondano le proprie radici in tempi lontani e che la modernità non ha saputo, malgrado tutto, attenuare.
Riproduzione riservata © il Nord Est