Serbia e Kosovo hanno deciso lo stop alla “guerra delle targhe”

 Gli automobilisti non dovranno più coprire con adesivi bianchi i simboli di Belgrado

Stefano Giantin
La guerra delle targhe in Kosovo
La guerra delle targhe in Kosovo

BELGRADO Dopo tante tempeste, a volte così violente da far temere l’esplosione di un conflitto a tutto tondo, finalmente uno squarcio di sereno. È quello che si intravede nel cielo sopra Serbia e Kosovo, eterni nemici sempre pronti a gettare legna sul fuoco di nuove diatribe. Ma a volte anche Belgrado e Pristina sono capaci di stupire, in positivo.

Lo conferma l’annuncio arrivato dal governo kosovaro che, sulla falsariga delle mosse già prese a fine dicembre dalla Serbia, ha di fatto posto fine alla lunga “guerra delle targhe”, miccia di gran parte delle tensioni osservate da più di un anno a questa parte, in particolare nel nord del Kosovo. Fine della guerra che coincide con la decisione di Pristina di riconoscere le targhe delle auto serbe in ingresso nel Paese, non obbligando più i conducenti all’apposizione di adesivi bianchi a coprire i simboli nazionali di Belgrado. Decisione che va letta «come un atto di buone relazioni di vicinato» con la Serbia e arriva come azione di reciprocità «dopo il riconoscimento delle targhe della Repubblica del Kosovo da parte della Serbia», ha spiegato l’esecutivo di Pristina, specificando che la decisione entrerà in vigore a breve, dopo la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale del Kosovo.

Kosovo che ha dunque, come anticipato dal premier Albin Kurti a dicembre, recepito positivamente le mosse della Serbia e ha deciso di adeguarsi, cancellando completamente il regime di “nascondimento” dei simboli nazionali sulle targhe che era stato introdotto nell’ottobre del 2021 e che prevedeva che gli automobilisti serbi dovessero apporre sticker bianchi sui simboli nazionali delle loro targhe al momento dell’ingresso in Kosovo. E che quelli kosovari dovessero fare lo stesso, entrando in Serbia. Fine della guerra delle targhe la cui maggiore responsabilità va comunque attribuita a Belgrado che, a sorpresa, il 25 dicembre aveva preso una decisione-bomba, permettendo il transito sul territorio nazionale delle targhe con la sigla “Rks”, quelle di quel Kosovo indipendente che Belgrado non vuole riconoscere. Si tratta di una mossa «per aiutare i serbi del Kosovo», costretti – lo hanno fatto in migliaia - a cambiare le loro targhe serbe con quelle Rks, aveva giustificato la deliberazione il numero uno dell’Ufficio governativo serbo per il Kosovo e Metohija, Petar Petković. Non si tratta assolutamente di un riconoscimento de facto del Kosovo, aveva poi messo le mani avanti Belgrado, come conferma un comma del documento di dicembre – e che è stato esposto in bella vista alle dogane tra Serbia e Kosovo. Comma in cui si precisa che «permettere la circolazione di tutte le auto registrate» da parte delle autorità di Pristina è una scelta dovuta «esclusivamente a ragioni pratiche», ossia per «facilitare la libertà di movimento». E non va in alcun modo letta «come un riconoscimento dell’indipendenza auto-dichiarata dal cosiddetto Kosovo» o come un cambio di rotta di Belgrado rispetto alla difesa «della risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza dell’Onu», dove rimane scritto che il Kosovo continua a far parte della Serbia. Serbia dove, tuttavia, non mancano le polemiche. Lo confermano gli umori sui social, dove c’è chi loda la pace «che porterà bene a tutti» e si congratula con «la decisione intelligente e corretta di Pristina», come risposta a quella di Belgrado. Ma sono tanti anche quelli che condannano quello che viene definito «un riconoscimento di fatto, nostro di loro e loro di noi». Attraverso semplici – ma non nei Balcani – targhe automobilistiche. —

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