La protesta in Serbia trova il suo simbolo in Dijana, madre-coraggio
Nella tragedia di Novi Sad ha perso il figlio Stefan e adesso ha iniziato lo sciopero della fame. Chiede giustizia per le vittime e il rilascio degli studenti arrestati: «Il potere ci nasconde la verità»

Per dodici mesi, il più grande movimento di protesta che il Paese ricordi non ha avuto un unico leader, ma una guida dai molti volti, quelli di cittadini comuni e soprattutto di giovani e studenti, senza capi e capetti, all’insegna della democrazia diretta. Ora, a poco più di un anno dalla miccia che ha acceso la rabbia, cioè la tragedia alla stazione di Novi Sad, qualcosa potrebbe cambiare. A dare una ulteriore scossa, una madre-coraggio. Che potrebbe diventare, suo malgrado, il simbolo più forte del movimento.
Accade in Serbia, dove il nome che circola di bocca in bocca in questi giorni è solo uno. È quello di Dijana Hrka, inconsolabile madre di Stefan Hrka, una delle sedici vittime – aveva solo 27 anni – del crollo della pensilina della stazione nel capoluogo della Vojvodina. «Come farò senza di te? » , la domanda disperata di Dijana ai funerali. La donna, per mesi, ha poi aspettato che giustizia fosse fatta, finora vanamente. Ma per Dijana il tempo dell’attesa è finito.

«Annuncio pubblicamente lo sciopero della fame davanti al Parlamento, dal 2 novembre, alle 11.52», il giorno dopo l’anniversario della strage, la promessa solenne della madre di Stefan, che ha apertamente accusato chi è al potere di «nascondere la verità» sulla morte del figlio e degli altri 15 e di negare «il voto anticipato» alla piazza.
E Dijana si è puntualmente presentata vicino al Parlamento, domenica, chiedendo giustizia, rilascio degli studenti arrestati e voto anticipato. Ma la polizia le ha impedito di avvicinarsi alla grande piazza, occupata da mesi da quelli che le autorità al potere assicurano essere “Studenti 2.0”, quelli «che vogliono studiare».
In realtà, l’accampamento – dispregiativamente chiamato “Ćacilend” da mezza Belgrado – è popolato da giovani muscolosi, spesso a viso coperto, più simili a hooligan che a giovati impegnati nello studio o nella ricerca, «criminali» secondo membri dell’opposizione. E da anziani e pensionati, chiamati a raccolta alla bisogna, per fare numero. L’area è, da marzo, off-limits per i belgradesi, con la polizia di guardia.
E anche per Dijana è off-limits. Perché? «Lì davanti», ci spiega indicando Ćacilend, «c’è una Serbia che si fa pagare con i soldi dello Stato, sono picchiatori a libro paga di Vučić, sono serbi solo di nome, assaliscono i giovani, il popolo». Dijana parla mentre, da Ćacilend, vengono fatte risuonare a tutto volume musiche patriottiche, per impedire ai manifestanti e agli studenti di lanciare qualche slogan o semplicemente di parlare. «Provocano così tutto il giorno, è una vergogna», continua la donna, aggiungendo di sentirsi «umiliata e ferita». Madre-coraggio che non ha però intenzione di mollare. «Rimarrò qui finché serve», giura.
Dijana che è rimasta lì, in un piccolo tendone bianco, anche tra domenica e lunedì, durante scaramucce tra opposti schieramenti, nate dopo provocazioni arrivate da Ćacilend. Da una parte centinaia di giovani, studenti e cittadini, a sostenere la donna, dall’altra i lealisti, separati da ingenti forze di polizia in tenuta antisommossa. Ci sono stati anche lanci di fumogeni, bombe-carta e bottiglie, in gran parte dal fronte dei lealisti, come hanno dimostrato video sui social e le dirette delle Tv non filogovernative.
Completamente opposta la campana di Vučić, che ha definito i militanti di Ćacilend «simbolo di libertà», mentre la polizia ha sostenuto che sarebbero stati i manifestanti antigovernativi a provocare incidenti, accusa sdegnosamente rigettata al mittente da questi ultimi. Pesante il bilancio della serata, con una quarantina di fermi. Tra questi, l’ex campione di basket e attivista Vladimir Štimac. —
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