Operazione Tempesta: 28 anni dopo la Croazia ricorda la “pacificazione” di Knin. Ma i serbi non dimenticano

Sabato le commemorazioni dell’operazione militare che liberò Knin e l’autoproclamata Repubblica serba di Krajina. Il dolore di Belgrado

Stefano Giantin
Il monumento a Oluja
Il monumento a Oluja

BELGRADO Orgoglio nazionale da una parte, dolore e trauma collettivo dall’altra. E quasi trent’anni non sembrano essere bastati a trovare una lettura comune degli eventi, una memoria condivisa, mentre i fatti risalenti al 1995 continuano a dividere.

Eventi come “Oluja”, quell’Operazione Tempesta organizzata dalle forze militari croate tra il 4 e l’8 agosto del 1995 per “pacificare” la zona di Knin e la cosiddetta Republika Srpska di Krajina, la roccaforte dei serbi ribelli della Croazia durante le guerre jugoslave degli Anni Novanta.

Oluja continua a far discutere e a contrapporre croati e serbi. Lo si è visto in questi giorni e lo si osserverà anche oggi, sabato 5 agosto, giorno in cui in Croazia si ricorda Oluja durante la cosiddetta Giornata della vittoria e il Giorno dei difensori croati della madrepatria, in memoria di quel 5 agosto del 1995 quando le forze di Zagabria entrarono a Knin, issando la propria bandiera sulla fortezza e di fatto spegnendo ogni residua resistenza serba all’autorità della Croazia indipendente.

Fu questo uno degli apici dell’Operazione Tempesta, azione «fulminea e ben preparata iniziata alle 5 di mattina del 4 agosto, che fece collassare l’esercito dei serbi ribelli già il 5, sulla fortezza di Knin sventolava la bandiera croata», ha raccontato con toni enfatici la Tv pubblica di Zagabria, la Hrt, in uno dei tanti servizi sulle celebrazioni in agenda oggi, maltempo permettendo.

«Tutte le strade portano in questi giorni a Knin e tutti gli occhi a Knin puntano già verso il cielo», le parole di una inviata della Hrt nella cittadina croata, con un chiaro riferimento al previsto volo, sempre se il meteo sarà propizio, di Mig ed elicotteri dell’esercito, in onore di Oluja e dei suoi protagonisti.

Di certo, alle commemorazioni parteciperanno i vertici politici di Zagabria, inclusi i sempre conflittuali premier Andrej Plenković e il presidente Zoran Milanović, mentre anche nel resto del Paese sono programmati eventi in memoria dell’operazione militare di 28 anni fa, che permise la «liberazione della città occupata di Knin e di 10.400 km/quadrati» di territorio, «il 18% della superficie della Croazia», recitano i media di Zagabria.

Nell’agosto del 1995 «non c’era alcuna altra opzione se non quella militare per riportare sotto il controllo legale» della Croazia quei territori, afferma da parte sua Ante Nazor, direttore del Centro croato di documentazione sulla guerra.

Ma in Croazia spesso si dimenticano gli effetti collaterali dell’operazione. A calcolarli, tra gli altri, è stato nel 2018 il Fondo per il diritto umanitario, Ong in prima linea per la difesa dei diritti umani e non tacciabile di connivenza con Belgrado. La Ong ha calcolato in circa 200mila i serbi costretti alla fuga dalle aree investite dalla Tempesta, pochissimi i ritornati, mentre una ottantina sarebbero stati uccisi durante l’esodo biblico, su auto e trattori, verso la Serbia.

L’Helsinki Committee ha da parte sua denunciato 400 uccisi entro la fine del 1995 tra le fila dei serbi rimasti, mentre a Belgrado circolano stime filogovernative che arrivano a 1.900 vittime, tra cui 1.200 civili. Anche quest’anno quei numeri, spesso contestati sull’asse Belgrado-Zagabria, saranno fonte di polemica.

A dare fuoco alle polveri è stato già ieri il leader serbo-bosniaco Milorad Dodik, che ha assicurato da Prijedor, a fianco il presidente serbo Vucić, che i serbi non dimenticheranno «la nostra gente uccisa, i nostri figli e genitori». Critico verso le celebrazioni anche lo storico Predrag Marković, che ha definito «bizzarro» festeggiare la «scomparsa dei residenti da un terzo del territorio» croato, trasformato dall’operazione Tempesta «in un deserto». «Non dimentichiamo», il chiaro titolo anche sul quotidiano serbo Politika, uno dei più importanti nel Paese, mentre altri media indipendenti hanno stigmatizzato il fatto che per i crimini di Oluja «nessuno ha mai pagato». st.gi.

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