Il mega festival di musica Exit lascia la Serbia: «Pressioni antidemocratiche»
Gli organizzatori: «Tagliati fondi e sponsor da quando ci siamo esposti a favore degli studenti»

Un grande festival, la “Woodstock serba”, un happening con connotati politici e d’impegno sociale, fin dal 2000, l’anno della sua nascita. Ma l’evento musicale potrebbe non superare il quarto di secolo, costretto a “emigrare” all’estero, a causa di presunti contrasti con le élite al potere.
È lo scenario che sembra concretizzarsi a proposito di Exit, mega-festival di musica, che dal 2000 – fu uno dei pilastri delle proteste anti-Milosevic – si tiene ogni anno a Novi Sad, in Serbia, uno degli epicentri delle manifestazioni che da più di sei mesi scuotono il Paese balcanico. E sarebbe stato proprio l’appoggio agli “indignados” e agli studenti serbi il vulnus che dovrebbe convincere all’addio di Exit alla Serbia.
È quanto ha sostenuto lo stesso management dell’evento che ha ricordato che il festival, nel corso degli anni, si è trasformato in un «simbolo globale di unità, cambiamento sociale e sostegno ai giovani». Ma «l’attivismo» extra-musicale di Exit non sarebbe piaciuto alle autorità oggi al potere. «Da quando ci siamo pubblicamente esposti a favore degli studenti serbi nella loro battaglia per una società più libera e giusta, siamo stati sottoposti a enormi pressioni di tipo economico e politico, finalizzate a toglierci il diritto di pensiero ed espressione», il durissimo j’accuse.
J’accuse che è sostenuto da prese di posizione pubbliche di Exit, che a marzo, ad esempio, aveva postato sui suoi seguitissimi profili social foto e slogan a favore degli studenti serbi, «scintilla di speranza per il mondo», capaci di creare dal nulla «un movimento non partigiano e democratico», oltre che «non violento» e «senza leader, portando in piazza centinaia di migliaia di persone». E forse «questo è l’inizio di qualcosa di più grande, visto lo stato delle cose nel mondo», si leggeva in un post di Exit, con annesso video dall’alto dell’enorme moltitudine scesa in piazza il 15 marzo, data dell’ultima grande manifestazione antigovernativa di Belgrado.
Potrebbero esser stati proprio questi messaggi a determinare pressioni dall’alto che, secondo Exit, si sarebbero già tradotte «nel completo taglio di tutti i fondi» pubblici un tempo destinati al festival, con l’aggravante del «ritiro forzato di alcuni sponsor», a causa dei presunti diktat di Belgrado. La conseguenza?
La prossima edizione di Exit, in programma dal 10 al 13 luglio a Novi Sad, «sarà l’ultima» in quella Serbia trasformata in una nazione dove «la libertà di parola viene sistematicamente calpestata».
Si tratta «della più dolorosa decisione presa in 25 anni di storia, ma la libertà non ha prezzo», ha spiegato il fondatore e direttore di Exit, Dušan Kovačević, che ha fatto nel contempo appello al mondo culturale internazionale «a sostenerci nella nostra lotta». Insomma, si prospetta un triste “esilio” volontario per Exit, progetto culturale che contribuì al crollo del regime di Milosevic, un quarto di secolo fa, ma che rischia di non sopravvivere alla presunta, sottile repressione di Belgrado.
Menzogne, la replica delle autorità locali di Novi Sad, che hanno giustificato la riduzione dei fondi per Exit con problemi finanziari generali e un “riposizionamento” delle spese. Ma i tagli, hanno denunciato i media locali, sarebbero stati decisi anche da ministeri nazionali. Potrebbe essere un boomerang, sia di immagine, per la Serbia, sia per le casse pubbliche, tenendo conto che l’anno scorso a Exit affluirono più di 200 mila persone da 80 Paesi, un’invasione pacifica di turisti che porta una ventata di allegria. E denaro sonante. —
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