Kurti: «Il Kosovo è l’ossessione di Putin: così la Serbia vuole minare i Balcani»

Il primo ministro di Pristina: «Belgrado ha un patto con Mosca, Bruxelles dovrebbe essere più chiara e più ferma»

Letizia Tortello

Dall’Ucraina al Kosovo, «il nemico è lo stesso: Putin. La Serbia ha accordi col Cremlino per destabilizzare la regione. Il confine tra la Nato e la Russia è anche qui, nei Balcani». Il premier kosovaro, Albin Kurti, il 15 dicembre ha presentato domanda di adesione all’Ue. Oggi tira il fiato, dopo settimane di tensioni e scontri nel Nord del Paese, con la minoranza serba che ha eretto barricate. Il ricordo della guerra (1998-99) è troppo vicino, e troppo doloroso, per pensare a un nuovo conflitto. Ma le ostilità sul campo sembrano solo rimandate, prima delle elezioni di aprile. Il dialogo tra Serbia e Kosovo è più lontano che mai. Secondo Kurti, perché Belgrado si oppone. Come una specie di porta girevole da cui Mosca vuole minacciare indirettamente anche la Ue.

Primo ministro Kurti, il suo Paese, il più giovane nato in Europa, 15 anni fa, sta vivendo mesi pericolosi per la sua stabilità. Come pensate di prevenire un’escalation?

«Il nostro Paese ha avuto un anno positivo. Siamo la dimostrazione che democrazia e sviluppo economico vanno di pari passo, con crescita al 4%, esportazioni +23, investimenti diretti esteri +47. Siamo migliorati di 17 posizioni nell’Indice di percezione della corruzione, lo stesso sulla libertà di stampa. Siamo al primo posto nei Balcani occidentali per lo Stato di diritto. Ma le relazioni con la Serbia non sono normali e dobbiamo normalizzarle».

Ma tra lei e il premier serbo Vučić un’intesa sembra impossibile. Siete a un botta e risposta durissimo. Fino a che punto è disposto a spingersi, per una pacificazione del suo Paese?

«La normalizzazione delle relazioni deve avere al centro il riconoscimento reciproco. La Serbia deve riconoscere il Kosovo. Credo che la proposta Ue del settembre scorso possa servire come buona base per ulteriori discussioni verso questo obiettivo democratico».

Anche da parte vostra dunque dovrebbe esserci un passo verso Belgrado. L’inviato Usa a Pristina, Derek Chollet, vi ha richiamato all’ordine, ricordandovi di rispettare l’accordo di riconoscimento dell’associazione dei Comuni del Nord a maggioranza serba. Lo farete?

«I miei predecessori hanno concluso 33 accordi in 10 anni nei colloqui a Bruxelles. Uno di questi è il questo riconoscimento dei Comuni del Nord. L’unico che non ha superato il test della Corte costituzionale del Kosovo. Pertanto ci troviamo in questa difficoltà. Credo che il Kosovo garantisca il massimo livello di diritti delle minoranze. Soprattutto per la minoranza serba. Il nostro Stato è composto dal 93% di albanesi, quasi il 5% da serbi, il resto sono bosniacchi, rom, ashkali, egiziani, turchi e gorani. Attuiamo unilateralmente i principi della nostra Costituzione scritti dall’ex presidente finlandese Martti Ahtisaari nel periodo precedente alla Dichiarazione di Indipendenza. Si tratta dei più alti standard europei. Un’associazione etnica di Comuni va contro lo spirito della nostra Costituzione».

Belgrado parla di gravi discriminazioni nei confronti della sua popolazione. Nulla di vero?

«Belgrado insiste su questo punto perché non vuole avere un accordo. Non posso risarcire la Serbia per aver perso la guerra nel 1999. In realtà, ciò che serve è che la Serbia riconosca i suoi crimini nella Storia recente, prenda distanza dal suo passato, Milosević, e dal suo presente, Putin. Io ci sono come primo ministro per i bisogni dei cittadini serbi. Il Kosovo dev’essere una società multietnica e sovrana. Credo sia il tempo di trovare un dialogo con la Serbia. Ma delle proposte Ue, respinte da Belgrado il 27 ottobre, vogliono estrapolare solo quella che gli conviene. Si faccia una pressione internazionale sulla Serbia».

Che parte sta giocando la Russia nei Balcani?

«Il Kosovo è l’ossessione di Putin. Negli anni ’90 Vučić aveva come slogan la “Grande Serbia”, ora ha cambiato in “Il mondo serbo”, imitazione dell’espressione russa Russkiy Mir. Belgrado è il regime clientelare più vicino e più forte per il Cremlino. La Serbia vuole di nuovo la Grande Serbia, vuole la Republika Srpska in Bosnia-Erzegovina, vuol trasformare il Montenegro nell’Ucraina e vuole sottrarre il Nord del Kosovo a noi. Quando si parla di Associazione dei Comuni non si tratta di diritti dei serbi ma di territorializzazione dei diritti. Una mentalità simile a quella del dispotico presidente Putin».

Vučić però sta dimostrando con dichiarazioni di voler prendere le distanze da Mosca. Fa il doppio gioco, secondo lei?

«La Serbia ha fatto una scelta. Ha stipulato 3 grandi accordi con la Russia: a maggio, per il gas a basso costo, a settembre, con l’accordo tra l’ex ministro degli Esteri Selacović e il ministro russo Lavrov a New York per sincronizzare la politica estera. Infine il politico serbo più filo-russo, Aleksandar Vulin, già vicepresidente del partito guidato dalla moglie di Milosević, Mira Marković, ora è il capo dell’intelligence della Serbia. C’è chi non vuole vedere, per me è molto chiaro».

Pensa che l’Ue stia facendo abbastanza per evitare una presenza della Russia nei Balcani?

«L’Ue potrebbe dovrebbe essere più chiara e ferma. La Serbia non ha imposto sanzioni alla Federazione Russa, non ha condannato l’aggressione ucraina e la Chiesa ortodossa serba è allineata con Kirill. Penso che l’Ue debba essere coraggiosa. Dire la verità a Belgrado e agire di conseguenza. Non essere neutrale nei confronti di uno Stato che non è neutrale nei confronti della Russia».

Quali sono i rischi?

«Il rischio concreto è che abbiamo 48 basi operative avanzate intorno al confine del Kosovo da parte dell’esercito serbo e della gendarmeri, a meno di 5 chilometri. Lì circolano i Night Wolves russi (bande di motociclisti molto vicini a Putin, ndr), e anche paramilitari e mercenari Wagner. Ci sono foto con le loro insegne. Erano presenti anche alle barricate del Nord. Quelle 16 barricate erano barricate Wagner».

Teme che il Nord del Kosovo si trasformi nella vostra Crimea?

«Penso che la Serbia voglia essere la piccola Russia nei Balcani, dove la Republika Srpska in Bosnia-Erzegovina sarà la piccola Bielorussia, e il Montenegro diventerà l’Ucraina. Per il Nord del Kosovo il rischio è trasformarlo nella Transnistria come in Moldavia. È ciò che vogliono: una parte di territorio in Kosovo, ma che comunque controllano per minare l’intero Paese e l’Europa».

Cosa si aspetta dalla Nato?

«Il confine tra Kosovo e Serbia è diventato il confine tra Nato e Russia. Penso che sia necessario un maggiore sostegno della Nato con più soldati, anche italiani, in Kosovo, e il supporto al nostro esercito».

Cosa si aspetta dall’Italia?

«L’Italia è il più grande vicino dei Balcani occidentali. È un partner e un alleato. Dovrebbe essere più attiva e aiutarci a mantenere una pace a lungo termine».

Come vede il Kosovo tra dieci anni?

«Un mese fa abbiamo fatto domanda di adesione all’Ue. I più veloci a integrarsi sono stati Svezia e Finlandia in tre anni. Cipro e Malta, 14 anni. Vorrei stare nella media, 9 anni. L’Ue è il più importante progetto politico e processo storico di pace e prosperità del pianeta dopo la Seconda guerra mondiale. Vogliamo entrare per contribuire».—

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