Kosovo, Mosca accusa Kurti e l’Occidente
L’ambasciatore a Belgrado: «Ancora violenza contro i serbi sotto la copertura del dialogo a Bruxelles»

Fin dall’inizio dell’aggressione della Russia contro l’Ucraina gli esperti di sicurezza nei Balcani occidentali hanno avvertito che in una regione in cui c’è una forte influenza russa (Serbia), potrebbero essere infiammati conflitti armati di maggiore o minore intensità, che potrebbero, almeno temporaneamente, distogliere l’attenzione dell’Occidente da ciò che sta accadendo in Ucraina. E il Kosovo è la tempesta perfetta per Mosca anche perché il Cremlino (ma anche la Serbia) continua a definire il Kosovo uno stato fantoccio creato dagli Usa grazie ai bombardamenti Nato sulla Serbia iniziati il 24 marzo del 1999, per mettere un piede nei Balcani occidentali, piattaforma strategica, per Washington, in relazione al vicino Medio Oriente.
«Non c’è dubbio che queste persone, ossia il commando che ha ucciso il poliziotto kosovaro e poi si è asserragliato nel monastero ortodosso, siano sotto il comando dei servizi segreti russi dell’Fsb e del Gru. E non c’è dubbio che le agenzie di intelligence serbe dovevano saperlo», ritiene l’avvocato di Belgrado e attivista per la pace Čedomir Stojković ricordando i fatti che fra sabato e domenica hanno alzato la tensione nel nord Kosovo. Egli ha ricordato che Aleksandar Vulin, direttore dell’agenzia di intelligence e sicurezza serba Bia, è il più stretto collaboratore del presidente serbo Aleksandar Vučić. Stojković è convinto poi che i serbi non irromperebbero mai nel monastero con le armi, perché attribuisce tale attività ai servizi dell’epoca sovietica, per i quali nulla è sacro. «Questi sono russi, l’unica cosa che resta da stabilire è se hanno anche passaporti e origini serbe», ha aggiunto l’interlocutore. Un altro particolare dell’incursione sono le divise che indossavano. Non erano quelle dell’esercito serbo e dei suoi gruppi speciali. Gli incursori indossavano divise verdi, senza simboli, gradi o mostrine e cappucci neri sul volto, proprio come i paracadutisti russi che conquistarono nel marzo 2014 la Crimea.
La Russia intanto lunedì ha fatto sapere che la situazione nel Kosovo è «estremamente difficile e potenzialmente pericolosa»: lo ha detto il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov. «La violenza delle autorità albanesi contro i serbi nel Kosovo avviene con l’incoraggiamento dell’Occidente e sotto la copertura del dialogo a Bruxelles», ha dichiarato l’ambasciatore russo in Serbia Alexander Botsan-Kharchenko, dopo un incontro con il presidente serbo Aleksandar Vučić. Il capo della missione diplomatica di Mosca a Belgrado ha detto che Vučić lo ha informato «dettagliatamente durante l’incontro sugli avvenimenti in Kosovo alla presenza del vice primo ministro e ministro degli esteri Ivica Dačić». «Le violenze a Pristina continuano e il primo ministro kosovaro Albin Kurti ha preso una linea, ormai evidente, sullo sviluppo della parte del Kosovo popolata dai serbi», ha detto il diplomatico. «La seconda cosa evidente è l’incoraggiamento a Pristina da parte dell’Occidente, così come il fatto che il dialogo è condotto formalmente come uno schermo, una copertura per ciò che sta realmente accadendo in Kosovo». E più tardi la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova, citata dall’agenzia Ria Novosti, ha aggiunto che l’esplosione di violenza in Kosovo è «diretta e immediata conseguenza» della volontà di Kurti di «provocare conflitto ed eliminare i serbi dal territorio della regione». Kurti, così la portavoce, cerca di far pressione sulla Serbia per costringerla a riconoscere l’indipendenza del Kosovo in un «costante gioco col fuoco che» «porta l’intera regione dei Balcani su un baratro pericoloso». La Francia intanto ha condannato l’attacco «inaccettabile di cui è stata vittima la polizia del Kosovo»; il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani ha avuto colloqui telefonici con Vučić e Albin Kurti. Pristina ha chiesto a Belgrado di consegnarle i sei uomini feriti nella sparatoria che si troverebbero in Serbia in ospedale
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