Il politologo Stanković: «Qui a Belgrado tutti vogliono stare in Europa ma su temi sensibili con Mosca c’è più intesa»

L’analisi del politologo «Il Paese dovrà fare i conti

con profonde discussioni interne. Non siamo filorussi come dicono»

Stefano Giantin

BELGRADO Allineatevi sulle posizioni dell’Occidente, imponete sanzioni alla Russia, accordatevi col Kosovo. O potete rinunciare all’idea della Ue. Sono i messaggi lanciati alla Serbia da Berlino, Bruxelles, Washington. Ma come sono accolti a Belgrado? E cosa può fare in concreto la Serbia oggi? Poco. E non quanto spera l’Occidente. Lo spiega uno dei maggiori politologi serbi, Dejan Vuk Stanković. La Serbia «non imporrà le sanzioni a breve e il tema qui è molto più complesso che negli altri Paesi Ue o tra quanti aspirano a entrarvi», dice il politologo. E lo è per due ragioni. «Siamo totalmente dipendenti dalla Russia per gas e petrolio e abbiamo scarso spazio di manovra» sul fronte energetico, ma soprattutto «c’è una ragione politica». La Serbia «è Paese candidato all’adesione, ma il processo è lungo, il risultato incerto malgrado le rassicurazioni di Scholz e Macron» che l’area balcanica è parte dell’Europa e sarà parte della Ue. Saldi invece i rapporti con Mosca, «che mostra più comprensione per gli interessi nazionali serbi sul Kosovo e sullo status dei serbi in Bosnia. Ci intendiamo di più con Mosca, su questi temi sensibili».

Ma attenzione: «I russi non hanno lo stesso impatto sulla regione di Ue e Usa e viviamo una sorta di paradosso», aggiunge il politologo. «Cerchiamo di avvicinarci all’Ue ma non ci comprendiamo perfettamente, in particolare sul Kosovo», l’ostacolo maggiore per Belgrado. Kosovo che è uno degli ultimi nodi irrisolti aperti con la crisi e il collasso della Jugoslavia. E la Serbia «dovrà presto fare i conti con profonde discussioni interne sul suo futuro, sulla cooperazione o con la Russia o con la Ue e gli americani», dice Stanković.

Ma la prospettiva non è ottimistica, per chi siede nei corridoi del potere, a Bruxelles e Washington. «Se vogliamo essere pienamente integrati nel mondo occidentale, nella Ue, dovremmo accettare l’approccio dell’Occidente alla crisi jugoslava», come l’indipendenza del Kosovo e ciò rimane «inaccettabile» per Belgrado. E lo sarà ancora a lungo, assicura Stanković: «Non conosco alcun politico serbo che potrebbe contare sul sostegno popolare accettando l’indipendenza del Kosovo, è inimmaginabile». È un «prezzo che siamo disposti a pagare», anche a costo di perdere la via per la Ue. Ue che «sfortunatamente ha anche un approccio verso la Serbia come fossimo negli Anni 90; e Vučić non è Milošević, tutti qui vogliono essere parte dell’Europa. Che dovrebbe però offrirci tre cose: sostegno economico, un accordo accettabile sul Kosovo, un approccio differente verso la Serbia; devono capirci». E le sanzioni contro Mosca chieste a Belgrado, secondo Berlino e la Ue, per dimostrare di essere un partner affidabile? «Non è così facile, la Serbia sostiene gli ucraini sull’integrità territoriale, condanna l’aggressione russa. Non siamo filorussi come ci descrivono. Ma non possiamo condividere la politica delle sanzioni: le abbiamo subite, non hanno fermato la guerra, hanno anzi rafforzato le élite al potere. E siamo onesti: sanzioni serbe contro la Russia non fermerebbero la guerra, sarebbero solo simboliche».

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