Il Kosovo rispolvera la causa per genocidio contro la Serbia
Pristina pensa a un’azione internazionale contro i vicini. Sarajevo presenta all’Onu una risoluzione su Srebrenica

BELGRADO Il termine genocidio è assai sensibile e un suo uso disinvolto può diventare innesco per polemiche feroci. Lo si è visto, in relazione ai terribili massacri a Gaza, sull’onda del caso “Sudafrica contro Israele” davanti alla Corte internazionale di giustizia, destinato ancora a far discutere. Capiterà lo stesso anche nei Balcani, dove quella definizione è destinata presto - anzi lo sta già facendo - a riaprire vecchie ferite e a provocare nuove tensioni, in Bosnia-Erzegovina e sull’asse Serbia-Kosovo. E proprio dal Kosovo potrebbe a breve partire la nuova bordata contro Belgrado.
La miccia è stata riaccesa dal premier kosovaro, Albin Kurti, che ha rispolverato un suo vecchio cavallo di battaglia, che sembrava archiviato: quello di una causa internazionale di genocidio contro la Serbia, per i crimini commessi al tempo del regime di Milosevic nell’allora provincia meridionale serba.
Pristina si deve preparare e deve «accelerare» la raccolta documentale per il procedimento contro la Serbia, ha spiegato Kurti, assicurando che «il ministero della Giustizia, i miei consiglieri giuridici ed esperti internazionali stanno lavorando» per portare sul banco degli imputati la Serbia. Serbia che, ha aggiunto nei giorni scorsi Kurti, dovrebbe essere giudicata «responsabile per i crimini compiuti durante la guerra in Kosovo, per crimini contro l’umanità e genocidio». Bisogna lavorare «giorno e notte» in questo senso, perché «le ferite dell’ingiustizia senza la verità rimangono aperte», ha spiegato. Solo una boutade? Non sembra. Belgrado «non teme» la minaccia di Kurti, ha infatti messo le mani avanti il presidente serbo Vucic, aggiungendo però di avere informazioni che Pristina, una volta entrata – a breve – nel Consiglio d’Europa, voglia servirsi «delle istituzioni» interne per lanciare la causa. Non solo. Non essendo il Kosovo membro Onu – e dunque impossibilitato a richiedere l’attivazione della Corte internazionale di Giustizia, Pristina attende che «un Paese terzo presenti la causa alla Corte, una questione politica molto intricata». Ed esplosiva, tenendo conto che rimangono ancora aperte crisi pesanti, come la cosiddetta “guerra del dinaro”, mentre si sta infiammando anche quella, mai spenta, dei cartelli stradali nel nord del Kosovo e pure quella del referendum per far dimettere i sindaci di etnia albanese a nord, che sarà probabilmente boicottato dai serbi.
Ma non c’è solo l’asse incandescente tra Belgrado e Pristina. Qualcosa di ancora più delicato si prepara in Bosnia. Qui il là è stato dato da un’iniziativa di Sarajevo, che cerca giustamente di difendere la memoria del genocidio di Srebrenica – questo già riconosciuto dalla giustizia internazionale - dai negazionisti. Lo farà con una risoluzione, da mettere ai voti a breve all’Assemblea generale, pensata per arrivare alla istituzione di una Giornata internazionale per il ricordo del genocidio di Srebrenica – con un voto, si pensa favorevole, atteso a fine aprile-maggio. Ma anche qui risuonano campane opposte. Una l’ha già suonata il leader nazionalista serbo-bosniaco Milorad Dodik, che ha evocato la possibilità di una “contro-risoluzione”, da far approvare al parlamentino di Banja Luka, che stabilisca che «a Srebrenica non ci fu un genocidio». La posizione serbo-bosniaca si dovrebbe basare sul rapporto di una Commissione internazionale indipendente, che avrebbe stabilito appunto che a Srebrenica «non ci fu intento genocidiario», ha detto Dodik – una posizione più che controversa ma condivisa dal numero uno del Centro Wiesenthal di Gerusalemme e ultimo “cacciatore di nazisti”, Efraim Zuroff, in un’intervista al serbo Politika.
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