Il Kosovo mette al bando il dinaro ma garantisce una partenza soft

Concessa una fase di transizione prima del via alle sanzioni. L’Europa: «La preoccupazione resta»
Stefano Giantin
Una banconota da 2000 dinari serbi
Una banconota da 2000 dinari serbi

BELGRADO Operazione avviata , anche se non a tutta forza come si temeva, lasciando aperta una finestra temporale – non ben definita – per informare, prima di passare alle maniere dure. Sono i contorni ormai certi della “guerra del dinaro”, ultima crisi scoppiata sull’asse tra Belgrado e Pristina, dopo la decisione della Banca centrale del Kosovo di rendere l’euro, a partire dal primo febbraio, da ieri dunque, l’unica moneta legalmente utilizzabile nell’ex provincia serba per operazioni di pagamento in contanti. Altre valute – come il dinaro serbo, largamente impiegato dalla comunità serba in Kosovo - dovranno essere “relegate” a conti bancari in valuta estera o depositi fisici.

La misura, ricordiamo, era stata annunciata da Pristina con brevissimo preavviso, qualche settimana fa, facendo andare su tutte le furie Belgrado – che aveva parlato di aperta provocazione capace di far saltare per sempre il tavolo negoziale– e preoccupato assai l’Occidente, intimorito dalla concreta possibilità di una nuova escalation di tensione e violenza. Tensione che cova soprattutto nel nord a maggioranza serba e nelle enclave dove, in totale, vivono più di centomila serbi.

Ma una nuova insidiosa crisi, almeno per il momento, non è deflagrata. Saranno state le pressioni internazionali o i “suggerimenti” più o meno espliciti delle capitali amiche, Washington in testa, ma Pristina ha fatto una mezza, molto parziale, marcia indietro, evitando l’escalation. «Non implementeremo immediate misure punitive», ha così annunciato il vicepremier kosovaro Besnik Bislimi, «ma ci prenderemo del tempo per informare i serbi sul divieto» d’uso di altre valute che non siano l’euro, circolante in Kosovo come moneta ufficiale già da due decenni, anche se fuori da Ue ed eurozona – ma non presso i serbi, che per legami simbolici e soprattutto pratici continuano a servirsi del dinaro. Bislimi che non ha chiarito quanto tempo sarà concesso ai serbi per adattarsi, «un po’», si è limitato a dire, assicurando che la misura presa dalla Banca centrale non è assolutamente discriminatoria e foriera di catastrofi, nel nord del Kosovo, come temono serbi e Belgrado. «Nessun cittadino ha alcuna ragione per temere l’adozione delle nuove regole», ha chiosato.

Di certo, dopo il non meglio precisato periodo di transizione, non si tornerà indietro. «La decisione» della Banca centrale è stata presa da un organo «indipendente» e si tratta di una mossa «non negoziabile», che non sarà archiviata malgrado le pressioni, ha affermato infatti il premier Albin Kurti alla vigilia del primo febbraio. Ma effetti deleteri indiretti già si vedono, nel sempre instabile nord del Kosovo. A far scalpore e preoccupare i serbi è stata in particolare la chiusura, da tempo tuttavia anticipata, di filiali di svariate banche con quartier generale a Belgrado, che erano attive da anni nel nord. «Mi toccherà andare fino a Kursumlija», nella Serbia centrale, «per ritirare la pensione», denuncia Zorica, di Mitrovica nord. E come Zorica ce ne sono tanti. Sono i pensionati o i percettori di sussidi che ricevono soldi dalla Serbia, in dinari, o gli impiegati di scuole e ospedali, sempre pagati in valuta di quella Serbia che “pompa” ogni anno nell’ex provincia almeno 120 milioni di euro. E che temono a breve di rimanere a secco. «Saranno loro a pagare di più», ha spiegato il politologo Boško Jakšić alla Afp. E ieri, ancora una volta, la Ue si è detta «preoccupata» per le mosse sul dinaro «a causa dell'assenza di una consultazione preventiva, in particolare per il suo impatto su scuole e ospedali, data l'apparente assenza di alternative». Che ancora non si vedono.

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